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POEMA RICICLABILE

 

 

MINACCE DALL'UOMO:

Non abbiamo paura della Bomba!

Il Caso Plutonio

Al come Alluminio, Al come Alzheimer

Marmellata di prugne, margarina ed altri colori

Dr. Pandora

 

MINACCE DALL'UOMO

 

 

 

Non abbiamo paura della Bomba!

 

La minaccia più grande sulla Terra

che noi siamo riusciti a creare

da sempre, è la minaccia della guerra,

ed oggi, della Guerra Nucleare.

 

Pensate a quello già avvenuto prima:

un ordigno, nemmeno tanto grosso,

cancellò la città di Hiroshima.

Se lanceremo ordigni a più non posso

 

contro un nemico che farà lo stesso,

non soltanto per noi sarà finita,

ma su tutta la terra, ad un dipresso,

arriverà la Fine della Vita.

 

Se noi consideriamo solamente

la mera situazione attuale

è facile convincere la gente

che il pericolo è vero ed è reale.

 

La situazione è molto delicata:

c'è di dice che basterà l'errore

d'un uomo solo, a fare la frittata,

come nel film "Il dóttor Stranamore",

 

se un giorno premeranno quel pulsante

(basta  un pazzo che arrivi sulla scena),

s'accenderà di certo in quell'istante

l'immane reazione a catena:

 

"Tu me ne tiri una? Io tiro otto!"

"Tu me ne tiri otto? Io tiro mille!".

L'Apocalisse. Il nuovo "Grande Botto",

e il mondo finirà tra le scintille.

 

Ben triste prospettiva, a prima vista,

ma, tra tante Cassandre e tante Pizie

io sono questa volta più ottimista,

ed ho per voi, ma sì, buone notizie.

 

La mia teoria, stavolta, è alquanto ardita:

"La Guerra Nucleare del futuro

non causerà la fine della Vita".

Lo ammetto, qui scommetto sul sicuro,

 

perché, se vi dimostro che ho ragione,

e sopravviverà l'Umanità,

non sarà certo una consolazione

sapere che ne resterà… metà,

 

ma, se mi sbaglio circa questa guerra,

a parte il fatto che sarò già morto,

non ci sarà rimasto sulla Terra

chi potrà dire: "Il nonno aveva torto!".

 

Come son giunto a questa conclusione?

Considerando in modo differente

la storia della Proliferazione

dell'Atomica. Prima, solamente

 

l'America l'aveva, e l'Inghilterra,

perché gli Americani, con gli Inglesi

l'avevano realizzata in guerra

insieme, e con l'aiuto dei Francesi.

 

Quest'Occidente - adesso nucleare –

non vedeva, però, di buona vista

la Russia, non volendo rinunciare

al potere sul Mondo Comunista.

 

Armatasi la Russia, anche la Cina

si sentì minacciata da quell'Orso.

La Cina, e quindi l'India, a lei vicina,

all'Atomica fecero ricorso.

 

Il Pakistan, vedendo adesso armata

la vicina, mai stata troppo amica,

sentendosi nazione minacciata,

si fe' la Bomba in men che non si dica.


 

A 'sto punto, la Proliferazione

s'interruppe agli armati Pakistani,

con cui soltanto l'India  all'occasione

gli viene voglia di menar le mani.

 

C'è chi aggiunge alla lista un altro stato,

che ce l'ha senza dirlo ufficialmente:

Israele, da sempre minacciato,

serba in segreto un certo deterrente.

 

Da qui si vede, insomma, che la Bomba

è uno strumento in mano a ogni potenza,

di tipo musicale, un po' una tromba

che limita la Zona d'Influenza.

 

Ogni potenza suona al suo nemico:

"Se pensavi di mettermi in ginocchio

attento a te, ed a quello che ti dico:

ricòrdati che c'è l'occhio per occhio,

 

e se tu mi distruggi con la Bomba,

in quel momento tu finito sei,

e scenderemo insieme nella tomba

- Muoia Sanson, con tutti i Filistei!"

 

Nessuno, si capisce, ha l'intenzione

di distruggere ed essere distrutto,

ma la Bomba ce l'ha per protezione,

per sicurezza, e questo in fondo è tutto.

 

Per tutti, l'Armamento Nucleare

è insomma solo la filosofia:

"A casa tua fai quello che ti pare,

ma non rompermi il cazzo a casa mia!"

 

Dall'inizio del secolo ventuno

l'equilibrio è purtroppo un po' cambiato:

prima era chiaro a tutti e per ognuno

che la Bomba era in mano dello Stato,

 

ma se un giorno finisse nelle mani

di gruppi detti Fondamentalisti

(c'è gente che li chiama Partigiani,

ma in genere son detti Terroristi),

 

con l'Atomica in mano a questa gente,

chi ci assicura poi che non la tiri

s'una città, se non gli frega niente

di fare nel contempo il kara-kiri?

 

Non faccio la domanda in teoria,

perché la situazione è assai cambiata

dal passato, 'ché la tecnologia

per far la Bomba è punto complicata:

 

c'è chi afferma che un gruppo di studenti

che un giorno il ghiribizzo gli pigliasse,

avendo in mano tutti i componenti

potrebbe costruirla pure in classe!

 

(quelli, però, hanno altro a cui pensare:

per un giovane, ieri come adesso,

quando si parla di… proliferare

s'intende "far l'amor con l'altro sesso").

 

È quasi certo che il Terrore, dunque,

"lavora" a quest'Atomica con lena,

ma non sarà capace mai, comunque,

di fare una "reazione a catena",

 

mancando il necessario deterrente.

Naturalmente tutto ciò non vieta

che possa sterminare tanta gente,

ma non certo la Vita del Pianeta.

 

Messi da parte questi depravati,

ritorniamo ai Paesi Nucleari.

Osserviamo che un numero di stati,

pur avendo i quattrini necessari

 

e una tecnologia di cui van fieri,

due cose che gli avrebbero permesso

di farsi già l'Atomica da ieri,

non l'hanno fatta, non ce l'hanno adesso,

 

e, a quanto pare, pure nel futuro

di farsela non hanno l'intenzione.

Quattro li conoscete di sicuro:

Svezia, Svizzera, Cànada e Giappone.

 

Le prime due, da secoli non hanno

nemici, né lontani, né vicini,

che vogliano recargli qualche danno.

Che senso avrebbe spendere quattrini

 

per fare un'arma che non serve a niente?

Passiamo adesso al caro Canadà,

ch'è vasto come mezzo continente:

Atlantico e Pacifico qua e là,

 

e tutto attorno altrove è circondato

da polo e Stati Uniti (con l'Alaska).

Inoltre è scarsamente popolato,

e non gliene verrebbe niente in tasca

 

ai cari cittadini canadesi

di spendere un miliardo e forse più,

per proteggere solo gli Eschimesi,

grandi foreste e qualche caribù!

 

Ma, volendo parlar di protezione

e dell'utilità di un deterrente,

notiamo che, riguardo al Giappone,

la situazione è molto differente.

 

L'arcipelago è infatti situato

vicino a due potenze nucleari

con cui ha già fatto guerre nel passato.

Attualmente ci fa dei buoni affari

 

con la Russia e la Cina, ma il futuro,

in un contesto storico diverso,

potrebbe aver bisogno di sicuro

dell'arma, per non essere sommerso

 

da milioni e milioni di formiche

mandate a conquistare il Sol Levante

da quelle due nazioni poco amiche,

quindi un paese un po' lungimirante

 

avrebbe una buonissima ragione

di farsi un armamento nucleare,

ma invece è cosa nota che il Giappone

non ne vuole neppur sentir parlare.

 

Non è che i Giapponesi siano sciocchi,

o non sappian cos'è la strategia,      

ma l'hanno vista con i propri occhi

la Bomba, mica solo in teoria!

 

E siccome l'han vista già in passato,

conoscono il pericolo che incombe.

È un popolo che già si è ritrovato

dalla parte sbagliata di due Bombe.

 

Questo, ragazzi, in fondo spiega tutto:

per chi l'ha conosciuto già da prima

non c'è nulla che valga il grande lutto

chiamato Nagasaki ed Hiroshima.

 

Meglio vivi, se pur schiavi, lo sai,

che esser ricordati dalla Storia

quei valenti guerrieri Samurai

a cui si rende Onore alla Memoria.

 

Tutti i paesi con la Bomba armati

gonfiano il petto e fanno tanta scena,

perché non han subito i risultati

e credono che valga ancor la pena

 

di vedersi distrutte due città

per mettere in ginocchio l'opponente,

ma il giorno che vedran la verità

la smetteranno immediatamente. 

 

Se domani, premuto quel bottone,

vedran – dopodomani - la sequela,

impareranno tutti la lezione

che il gioco non val certo la candela.

 

Pagata la lezione a caro prezzo

- milioni a dir buongiorno al Padreterno –

non se la scorderanno per un pezzo,

se non saran finiti già all'inferno.

 

Ma gli Uomini, imparata la lezione,

leccando le ferite, andranno avanti,

e questo mi ricorda una canzone

di gioventù, del gruppo dei "Giganti":

 

che ancora nelle orecchie mi rimbomba.

E allora tutti insieme noi cantiam:

"… non abbiamo paura della Bomba…"

e proseguiamo: "…we shall overcome…"!

 

Vi siete messi a posto la coscienza?

non avete paura del Demonio?

Andiamo adesso a fare conoscenza

dell'altra brutta faccia del plutonio.

 

 

 

 

 

 

 

Il Caso Plutonio

 

La natura è composta di elementi,

novantadue per essere pignoli,

soltanto loro, senza supplementi:

la Natura ha creato quelli soli.

 

Ma l'Uomo, che si crede il Padre Eterno,

e non è mai, di ciò che ha, contento

per ragioni che ancor non ben discerno

volle arrivare a tutti i costi a cento.

 

Anni quaranta (s'era allora in guerra),

gli Americani uomini di scienza

ben nascosti, in segreto, sottoterra,

scopriron dell'uranio la potenza,

 

la massa tramutata in energia:

l'Atomica. E fu libero il demonio…

facendo intanto nascere per via

un elemento nuovo, quel plutonio.

 

Badate, intendo nuovo veramente,

perch'esso in una cosa era diverso

da ogni altro elemento già esistente:

non c'era, prima, in tutto l'universo.

 

Il plutonio, creato nelle pile

atomiche, fornisce l'energia,

per l'uso nella pratica civile,

ma anche per la Bomba, e così via.

 

All'inizio, il plutonio è 'sì potente,

che facilmente assai viene sfruttato,

ma poi perde le forze lentamente,

perché diventa meno concentrato,

 

e, persa questa sua concentrazione,

a questo punto è diventato "vecchio":

e allora te lo mandano in pensione,

lo fanno nuovo, e… buonanotte al secchio,

 

e quello vecchio viene messo in tubi,

lontano da città, guardato a vista,

dentro caverne, che non se lo rubi,

per far la Bomba, qualche terrorista.

 

Con gli anni, questi tubi "pensionati",

prodotti dai paesi nucleari,

si sono, piano piano, accumulati

in una quantità ch'è senza pari:

 

duemila tonnellate… una sciocchezza!

Però dovremmo aggiungere un "… almeno",

'ché tutti, per question di sicurezza,

ne dichiarano sempre un po' di meno.

 

Sono convinti in molti che il plutonio

ci può portare tutti nella tomba,

combinando un enorme pandemonio,

se lo facciam scoppiare nella Bomba.

 

Invece, il gran pericolo nascosto

dell'elemento subdolo e cattivo

si trova, cari miei, in un altro posto:

nell'avvelenamento radioattivo.

 

'ché trenta microgrammi solamente,

nei polmoni inspirati, per via orale,

o dentro l'apparato digerente,

ti fan venire un cancro assai fatale.

 

Questo vuol dir che un solo milligrammo

ti può ammazzare già trenta persone,

da qui che, se assorbito, un kilogrammo,

trenta milioni ammazza: una nazione.

 

Quindi, per cancellar completamente,

dal pianeta dov'è cresciuta e nata,

la specie umana, basta solamente

poco meno di mezza tonnellata.

 

Pensate adesso: se si liberasse

il plutonio riposto tra le scolte,

e in giro per il mondo se n'andasse,

ammazzerebbe cinquemila volte

 

tutta l'Umanità che Dio ha creato.

Adesso voi direte certamente:

la frase è priva di significato,

perché non vuole dire proprio niente

 

ammazzar mille volte una persona,

ve la canto, perciò, diversamente,

e ditemi se adesso , sì, vi suona:

lo zero-uno per mille è sufficiente

 

per ammazzare più di mezzo mondo,

questo, naturalmente solo, in caso

che scappi e vada a fare il giramondo,

sfuggendo delle guardie sotto il naso.

 

C'è da fidarsi della… Clausura?

Ammesso che non sgarrino un tantino

le guardie, chi ci dice che Natura,

invece, non ci metta lo zampino?

 

Poniamo un terremoto, che sconquassi

la zona dove han messo il ripostiglio.

La volta crolla, cadono dei massi,

rompono i tubi, mettono scompiglio,

 

e il plutonio si libera, là sotto.

Le guardie, allora, bloccano l'entrata,

buttan la chiave, e poi… fanno fagotto,

perché, in quel caso, quando è andata, è andata.

 

Passano gli anni, ed ecco, in cima al monte,

cade la pioggia, penetra nel suolo,

sciacqua il plutonio sparso, ed esce… fonte,

poi ruscello, laghetto, e… prende il volo.

 

Non lo dico per caso: un uragano,

cent'anni dopo, passa sulle sponde,

raccoglie l'acqua, e porta assai lontano

il plutonio, già libero d'altronde.

 

La Natura lavora lentamente.

Siccome qualche secolo è passato,

"A noi – direte – non ci frega niente:

'ché il plutonio s'è intanto  scaricato,

 

la radioattività s'è indebolita

al punto di non fare ormai più danni".

Ma ciò dipende dalla mezza-vita,

ovverosia dal numero di anni

 

che fa le radiazioni dimezzare

(è una costante fisica, il valore).

Purtroppo col plutonio, cosa fare,

la mezza-vita non è un paio d'ore,

 

ma, in anni (circa) venticinquemila,

e la cosa vuol dire che, in sostanza,

anche in futuro, tra trecentomila,

ci ammazza ancora tutti, resta, e avanza.

 

È giunta l'ora della conclusione:

dall'Alba della Storia sulla Terra,

la prima volta, una generazione,

per ragioni pacifiche o di guerra,

 

fece quest'elemento che non c'era,

radioattivo, letale, e pure… eterno,

creato nuovo, da mattina a sera,

e che ci porterà tutti all'inferno.

 

Avrete ormai capito la lezione:

non è "Se" lo farà, ma solo "Quando"...

 

… Niente paura! C'è una soluzione,

però, per il momento, la rimando…

 

 

 

 

 

 

Al come Alluminio, Al come Alzheimer

 

Tra i metalli di uso assai frequente

che non abbiamo certo in abominio

ce n'è uno leggero e resistente

con un nome simpatico: Alluminio.

 

Ottimo conduttore di calore

è usato in blocchi, fili, fogli e strisce.

È simile all'argento nel colore

e, stando all'aria, non arrugginisce.

 

Usato oggidì per ogni uso,

il metallo è scoperta assai recente:

l'alluminio, ch'è oggi 'sì diffuso

non era conosciuto anticamente,

 

come il rame, l'argento e l'oro giallo,

perché in natura non è mai trovato

allo stato nativo di metallo,

ma esiste solamente combinato

 

con elementi vari, e nonostante

che sulla crosta l'alluminio sia

di gran lunga il metallo più abbondante

l'elemento sta solo in compagnia

 

e quindi l'alluminio fu isolato

soltanto alla metà dell' '800

e, per parecchio tempo, sul mercato

valeva più dell'oro e dell'argento.

 

Giunsero i tempi della Belle Époque

e le nazioni ricche di moneta

decisero di dimostrare ad hoc

d'essere le migliori del pianeta

 

e d'aver la miglior tecnologia.

Tutte insieme partirono all'assalto

con costruzioni d'alta ingegneria

che salirono su, sempre più in alto.

 

Sistemati i problemi con il Fisco

(che non voleva spendere un bel niente),

l'America finì quell'obelisco

in memoria del primo presidente,

 

e poi, per dimostrar la sua ricchezza

ed il suo tecnologico dominio,

ci mise in cima, guarda che bellezza,

tre chili di carissimo alluminio.

 

L'Inghilterra, che aveva assai più gusto,

pensando che con la tecnologia,

il potere e il denaro, fosse giusto

unire pure un po' di poesia,

 

donò il metallo ai londinesi idilli

e decise di mettere sul posto,

in cima alla fontana a Piccadilly

L'Antèros, ch'è l'amore corrisposto.

 

I bigotti, guardando la figura

alata e nuda, in cima alla fontana,

preferiron chiamare la scultura

"L'Angelo della Carità Cristiana",

 

che il simbolo di Londra poi divenne.

Curioso che il "modello" fu "nostrano",

un figlio d'arte, allora quindicenne:

Angelo Colarossi, un Italiano.

 

Ma né gli Americani, né gli Inglesi

vinsero quella gara, se non erro,

perché alla fine vinsero i Francesi,

che, ricorrendo ancora al vecchio ferro,

 

innalzarono, a spese dello stato,

la Torre Eiffel, ch'è ancora una bellezza,

e tolsero all'America il primato

del più alto edificio per altezza.

 

Poi, insieme a quegli amici d'oltremare,

(proprio in quegli anni, per casualità)

brevettarono un metodo per fare

l'alluminio con gran facilità.

 

Il metallo entrò subito in cucina

sostituendo il più pesante rame,

ed oggi tu lo trovi (fatto in Cina)

sotto forma di pentola o tegame.

 

Ma non soltanto, in quanto è noto il fatto

che dall'alba del secolo passato

oramai non esiste manufatto

che non abbia il metallo combinato:

 

Finestre, tetti, tavole, putrelle,

automobili, case, strade, ponti,

carta stagnola, scatole e padelle,

e chi più ce ne ha, più ce ne conti,

 

al punto che potremmo senza fallo

chiamare il '900 di sicuro

"l'Età dell'Alluminio",  dal metallo

(e forse il ferro "l'alluminio… scuro"!).

 

Eppure, lo sapete che vi dico?

che l'elemento utile e prezioso

c'è chi dice ch'è molto meno amico,

anzi, ch'è forse assai pericoloso,

 

perché pare che sia la causa prima

d'un morbo ancora oggi senza cura,

la cui storia vi narro adesso in rima

(Ahi quanto a dir qual era è cosa dura).

 

Ci narra dunque questa triste storia

di Auguste D., vivente a Francoforte,

con un grosso problema di memoria

a cui seguì purtroppo poi la morte.

 

Nell'anno millenovecentouno

fu lì ricoverata in ospedale

una donna di anni cinquantuno

che fino a poco prima era normale,

 

ma ultimamente questa donna spesso

prendendo qualche oggetto, lo celava,

scordando il posto in cui l'aveva messo,

e allora col marito s'arrabbiava,

 

urlandogli che lui lo nascondeva,

per regalarlo certo ad un'amante

(che il poveretto invece non aveva).

Alois Alzheimer, il medico curante

 

dell'ospedale, esperto in psichiatria,

s'interessò del caso e con costanza

seguì il decorso della malattia

per comprenderne eziologia e sostanza. 

 

Il dottore, ci narra ancor la storia,

fece delle domande alla paziente,

per capire il problema di memoria.

La tizia non si ricordava niente

 

di quanto le era stato domandato

pochi secondi prima, né il suo nome

riusciva a scriver sopra un foglio dato,

però diversamente, chissà come,

 

quando il dottore invece le chiedeva

il color della neve a bruciapelo

"Bianco" immediatamente rispondeva

e "Azzurro" alla domanda "e quel del cielo?".

 

La malattia andò sempre peggiorando,

nonostante gli sforzi del dottore

durati cinque anni, fino a quando

la donna rese l'anima al Signore.

 

Studiando quella strana malattia,

(guardando al microscopio il cervello

prelevato durante l'autopsia)

il medico scoprì di botto quello

 

che le aveva causato quel malanno:

molti meno neuroni infatti vide,

ed il "sospetto" di quel grave danno:

l'accumulo di beta-amiloide.

 

La malattia d'Alzheimer per la scienza

(fu in onore del medico chiamata)

tecnicamente è detta anche Demenza

Precoce, per l'età non avanzata.

  

Cent'anni e passa dalla sua scoperta.

ancora non esiste alcuna cura

e la questione è ancora adesso aperta

dacché l'eziologia non è sicura.

 

C'è chi dice che l'alluminio faccia

una sorta di avvelenamento,

c'è chi dice ch'è invece una fregnaccia,

portando pure lui qualche argomento.

 

Da una parte ci son gli accusatori,

che cercano del male la risposta,

dall'altra gli avvocati difensori,

che forse son pagati a bella posta

 

da gente che ci ha in ballo gli interessi,

da gente che, con molti soldi in gioco,

ha tutto l'interesse a farci fessi,

dicendoci che l'alluminio è innocuo.

                            

A quanto par discuteranno molto

in attesa d'aver la soluzione,

ma quando sia il problema ormai risolto

ancor non è risolta la questione

                                               

dell'uso del metallo, 'ché la gente

oramai non ne può più fare a meno,

e quindi non faremo proprio niente.

Comunque, le padelle perlomeno

 

rivestiamo per il momento adesso

col tetrafluoropolietilene,

il tutto sempre ammesso (e non concesso)

che la sostanza poi ci faccia bene.

 

Forse sapremmo la risposta giusta,

 - chissà? - se Alzheimer avesse domandato

tra le altre cose alla paziente Augusta

in che pentole aveva cucinato…

 

Fintanto che la cosa è ancora incerta

non nuoce certo starci un po' più attenti

usiamo l'alluminio, ma… Allerta!

E d'altronde ci sono altri elementi

 

certamente assai più pericolosi,

eppure utilizzati anche dall'Uomo.

Eccone tre, parecchio velenosi:

sono il Cadmio l'Arsenico ed il Bromo.

 

Che cosa concludiamo, per finire?

Anche senza un legame casuale

una cosa però possiamo dire:

che un legame di certo temporale 

 

è fuori discussione che ci sia

tra quando l'alluminio entrò nell'uso

e la scoperta della malattia,

e con questo (per ora) il caso è chiuso.

 

 

 

 

 

 

 

 

Marmellata di prugne,

margarina, ed altri colori

 

Negli anni ottanta accadde un fatto strano

(da allora ce ne siam dimenticati

e quindi vi rammento qui l'arcano)

sugli scaffali dei supermercati,

 

tra gli spaghetti, il burro e l'insalata:

i vasetti di vetro con la scritta

"Confettura di prugne – marmellata",

il prezzo in lire e il nome della ditta,

 

da un giorno all'altro, senza preavviso,

(come a non attirare l'attenzione)

cambiarono colore all'improvviso.

senza che fosse data spiegazione.

 

Vedemmo lì la nota gelatina,

prodotta dall'industria alimentare

fino a quel giorno di color susina,

colore can-che-fugge diventare.

 

Perché? Il color di prugna… naturale

(tra maglia del Torino e… Coca-Cola),

color… naturalmente… artificiale,

era dovuto a una sostanza sola:

 

L'E-123 "Rosso Amaranto",

che, messo nella smorta confettura,

le ridava di nuovo, per incanto

il tono che le diè Madre Natura.

 

Un giorno si scoprì, che l'Amaranto,

conferiva un aspetto appetitoso,

ma era assai nocivo e, d'altro canto,

per la salute assai pericoloso.

 

L'E-123 fu 'sì bandito,

da tutti i cibi, 'ché faceva male,

ed, in Italia, solo consentito

per la preparazione del caviale.

 

Chissà perché le uova di storione?

Non credo per cambiare il suo sapore,

ma, se te lo puoi fare a colazione,

puoi permetterti il conto del dottore!

 

La legge, in questi casi, è molto seria

e quindi nell'industria alimentare

dovettero cercare una materia

innocua ed atta quel colore a dare.

 

Siccome la ricerca prese tempo

a trovare la tinta per la… pappa,

l'industria alimentare, nel frattempo,

ci mise quel colore can-che-scappa.

 

Più in là ne trovò un altro più vicino.

Adesso usano quello, e lo useranno,

almeno fino a quando un bel mattino

si scoprirà che pure lui fa danno.

 

Con questo, non bisogna denigrare

continuamente e senza distinzione

le azioni dell'industria alimentare,

che fa anche cose buone, all'occasione.

 

Eccone una: quella margarina,

dove c'è dentro il beta-carotene.

Essendo esso nota vitamina

direte: "Di sicuro ci fa bene!".

 

Male non fa, lo ammetto, ma la storia

La vera storia della… surrogata

(un po' come il caffè con la cicoria),

mi sa che non ve l'hanno raccontata.

 

Orduque: alla metà dell'ottocento

Napoleone Terzo, quel baffuto,

propose agli scienziati 'sto cimento:

"Trovatemi del burro un sostituto,

 

qualcosa che però sia quasi uguale

e costi poco, pei soldati in guerra,

e soprattutto che non vada a male

sulle mie navi, in giro per la terra".

 

La soluzione presto fu trovata

da uno scienziato bravo e assai capace

(vi risparmio la chimica implicata)

e da allora la usiamo in guerra e in pace.

 

Lo scienziato, ovviamente, ebbe l'onore

di dare a quel prodotto un nome nuovo.

Siccome il grasso aveva un bel colore

non giallo come il burro, o il tuorlo d'uovo,

 

ma simile alla perla, bianco-olioso

(in latino la perla è margarita),

le dette questo nome un po' curioso:

la margarina, bianca e saporita.

 

I Francesi, però, son buongustai,

e sulle navi ciò non fa    eccezione,

quindi, per invogliare i marinai

a spalmar le gallette a colazione

 

ci aggiunsero del giallo artificiale:

il para-dimetil-azobenzene.

Più il là scopriron che fa proprio male:

ti viene il cancro, e certo non fa bene.

 

La storia si ripete. Cosa fare

Per mettere colori non nocivi,

provando la natura ad imitare

e nel contempo… rimanere vivi?

 

Nel caso della nostra margarina

uno scienziato al fin pensò ben bene

di metterci la nota vitamina:

di metterci quel beta-carotene

 

insomma, sì, del burro (idea geniale,

ma come la pensò? Vattelappesca!)

quel colore che acquista naturale

quando la mucca mangia l'erba fresca!

 

Voi mi direte: ma perché bluffare?

Perché aggiungere questi coloranti?

Perché insomma, l'industria alimentare

ci riempie di tinte, antiossidanti,

 

emulsionanti, aromi artificiali,

e non ci vende invece quei prodotti

come Natura fece, tali e quali?

Perché ce li propina ben… corrotti?

 

Mi permetto di darvi la risposta.

Non incolpate i poveri innocenti

la colpa non è loro. È colpa nostra.

Loro vogliono sol farci contenti:

 

quando i bisnonni nostri eran bambini

i cibi eran migliori, ed a ragione

li chiameremmo oggi genuini,

ma erano prodotti di stagione:

 

d'Autunno si mangiavan le castagne

e le ciliegie a fine Primavera

Fuori stagione non facevi lagne,

e non chiedevi quello che non c'era.

 

Ma oggi noi vogliamo tutto quanto,

e lo vogliamo pure tutto l'anno,

poi ci meravigliamo se d'incanto

i bravi produttori ce lo danno?

 

Un po' di tinta, forse un'iniezione,

ed ecco che il prodotto è bello e pronto…

e noi non impariamo la lezione:

siam soddisfatti e poi… paghiamo il conto.

 

Le buone caldarroste a Ferragosto

e angurie grosse e rosse in pieno Inverno?

Noi le troviamo, per scoprire tosto

ch'è una voglia che porta giù all'inferno.

 

 

 

 

 

 

 

Dr. Pandora

 

La strada per l'inferno è già spianata,

a percorrerla non ci vuole niente

e c'è il detto ch'è pure lastricata

con le buone intenzioni della gente.

 

La Scienza, ce lo dicono assai spesso,

è fatta di successi e di errori.

I primi sono il cibo del progresso,

mentre i secondi sono i suoi… dolori.

 

Purtroppo, della Storia del Progresso

ci ricordiamo solo le vittorie,

è  bene quindi raccontarvi adesso

d'un paio di sconfitte. Ecco le storie:

 

 

 

La prima storia ordunque, cari miei,

(non so se fu d'agosto, o a mezzo aprile,

ma certamente nel cinquantasei),

ci porta in Sudamerica, in Brasile,

 

dove facevan certi esperimenti

per migliorar la qualità del miele

e far gli apicoltori più contenti.

Giocavano con questo e quell'allele

 

creando specie d'api più consone

al clima caldo ed umido locale,

'ché l'ape allora usata in quelle zone

a questo clima s'adattava male.

 

Qualche secolo prima lì portata,

quest'ape, la mellifera ligustica,

veniva dall'Italia dov'è usata

(salvo Sicilia occidentale ed Ustica).

 

Il dottor Kerr (di origini scozzesi)

di fare un nuovo ibrido tentò

incrociandola per alcuni mesi

con l'ape che dall'Africa portò:

 

la sottospecie detta scutellata

ch'è più piccola e meno produttiva,

ma al clima tropicale più adattata,

però, purtroppo è pure più cattiva

 

e difende la casa con ardore

quando sente che c'è qualche minaccia,

se infatti un animale predatore

s'avvicina durante la sua caccia

 

vicino a casa, l'ape scutellata

gli impedisce d'andare a far man bassa,

suona l'allarme, chiama l'adunata,

e tutto l'alveare attacca in massa.

 

Un secondo difetto (a quanto pare

grosso difetto per gli apicoltori)

è che quest'ape ama traslocare

non soltanto per scarsità di fiori.

 

Il dottore incrociò la scutellata

e l'Italiana: un ibrido… mulatto

chiamato l'ape africanizzata,

ma, Dio ci scampi, cosa aveva fatto!

 

Fu forse colpa d'un apicoltore

il quale, stanco un po' di lavorare,

fece purtroppo un madornale errore:

si sbagliò nell'aprire un alveare

 

e ventisei regine liberò.

Quel che seguì, la triste conseguenza

di cui -ovviamente in versi - parlerò

è un capitolo triste della scienza.

 

L'ibrido nuovo aveva ancor, purtroppo,

le due caratteristiche africane:

la cattiveria ed il migrare troppo

- come ho detto - non solo per il pane.

 

La giovane regina appena eletta

quando sente nell'aria odor di pioggia

"Governo ladro! - dice alla mammetta -

 Siamo già in troppe, quindi adesso… sloggia!"

 

Con questo vizio che le api hanno

di mettersi spessissimo a sciamare

potete figurarvi che in un anno

ben lontano ti possono arrivare

 

ed infatti in due lustri (il sessantotto)

già ballavan la samba per Bahìa,

passata l'Amazzonia poi di botto

in vent'anni a Caràcas (mamma mia!).

 

A questo punto, negli Stati Uniti

pensaron di fermarle sul canale,

ma a causa degli sforzi poco uniti,

il tentativo andò a finire male.

 

Proprio nell'anno che laggiù in Iràq

Israele il reattore bombardò

a Panama successe il patatrac          

e l'ape in Nordamerica sfondò.

 

Attraversando il Messico veloce

s'affacciò sulle sponde del Rio Grande

e nel novanta lo passò alla foce

sorprendendo i Texani in… mutande.

 

Alamo cadde la seconda volta,

ma proprio al triste suono del "Deguello"

la storia prese invece un'altra svolta,

e all'America andò stavolta… mejo:

 

I Texani non fecero un bel niente,

ma forse senza un'ape Santa Anna

a comandarla, improvvisamente

s'arrestò quell'apicola fiumana.

 

Di fatto, è molto chiara la ragione:

al clima tropicale era adattata,

e nel suo volo verso settentrione

era giunta alla zona temperata

 

che non gradiva (senza un'altra scusa),

infatti nella pampa argentina

non c'era andata, né s'era diffusa,

benché fosse al Brasile più vicina.

 

 

 

Siam giunti adesso alla seconda storia,

la cui sintesi è presto detta e fatta:

come avvenne che il gran Lago Vittoria

si potrebbe chiamar Lago Disfatta.

 

Il Vittoria è un gran lago circolare

tra la Tanzania, il Kenia, e l'Uganda.

è vasto, e dentro ci potrebbe  stare

nientemeno che l'isola d'Irlanda.

 

Visto dall'alto, o sopra un mappamondo,

sembra che sia sospeso come a un filo:

dal Vittoria, benché poco profondo,

nasce infatti il famoso e lungo Nilo.

 

Quando gli Inglesi, con gli esploratori,

lo raggiunsero verso l'800

c'erano là soltanto pescatori

che vivevan mangiando poco e a stento,

 

catturando con reti primitive

dei pesciolini che in codesti lidi

nuotano lì nei pressi delle rive:

i cíclidi (è un errore dir ciclídi).

 

Queste specie piuttosto magroline

che vivono nuotando in mezzo ai sassi

danno ai nativi un po' di proteine

(la carne), ma contengon pochi grassi.

 

I cíclidi, benché un po' "deperiti",

pieni d'ossa e piuttosto mingherlini,

si cibano di alghe e di detriti,

e fanno le funzioni di spazzini,

 

come una sorta di  "Nettezza Urbana "

che mantiene quell'acqua assai pulita,

e quindi certamente pure sana,

e adatta a favorire lì la vita.

 

Ma proseguiamo questa triste storia.

Dell'Europa "civile" ogni nazione

s'accaparrò un bel pezzo del Vittoria,

chiamando il furto "Colonizzazione".

 

L'Inghilterra andò in Kenia ed in Uganda,

mentre invece l'Impero di Germania

s'insediava nei pressi (in Ruanda)

e in Tanganika, detta poi Tanzania.

 

In seguito, però, il Ruanda-Urundi,

dove scorron Kagèra e Ruvubù

(gli immissari del lago, e quindi oriundi

dalle Fonti del Nilo), non fu più

 

dei Tedeschi, perché, persa la guerra,

al Belgio lo dovettero passare.

(mi domando, in quell'angolo di terra

che cacchio il Belgio ci venisse a fare…).

 

Dato che a voi non ve ne frega niente,

a che pro qui vi faccio 'sto riassunto

di Storia e Geografia del continente?

Pensate giusto, quindi vengo al punto:

 

l'esposizione fatta sopra, orbene,

ci servirà più avanti per capire

da dove l'acqua del Vittoria viene

e dove questa storia… va a finire.

 

L'Europa portò in Africa il progresso

sotto forma di gran coltivazioni

e, come accadde in altri siti spesso,

anche in quel luogo tutte le nazioni

 

pensavano soltanto ai profitti:

lo zucchero, il caffè, più qualche spezia

coltivati dai negri derelitti

e pagati assai cari dalla… Svezia.

 

E per far posto alla coltivazione

usarono il sistema noto a tutti,

chiamato oggi deforestazione:

tagliar le piante che non danno frutti,

 

sostituendo i campi alla foresta.

Per poter fare tutti quei lavori

e far fronte all'aumento di richiesta

non bastavano pochi pescatori,

 

e i coloni portarono sul posto,

gente dalle colonie più lontane,

agricoltori, sempre a basso costo:

un pugno di manioca e un po' di pane.

 

Ma questo non bastò, dacché fin fine

il servo, per poter ben lavorare,

deve mangiare pure proteine:

o carne o pesce tu gli devi dare.

 

E per dar da mangiare a quella gente

immisero (così narra la storia)

un pesce grosso, grasso e più nutriente

nelle acque del gran Lago Vittoria:

 

il Persico del Nilo, l'Anatema

che sconvolse, facendo immani danni,

il molto delicato Ecosistema

che sussisteva da migliaia d'anni.

 

Il Persico è un carnivoro e, introdotto

nel Vittoria, mangiò quei pesciolini

e il numero a tal punto fu ridotto

che il lago restò a corto di spazzini.

 

E non c'era momento più sbagliato,

'ché le nuove colture di quei siti

avevan di gran lunga aumentato

nell'acqua la presenza di detriti.

 

Inoltre – e questo è proprio il paradosso

il Persico, mangiando quei pescetti,

crebbe e divenne un pesce tanto grosso

(duecento kili, non un paio d'etti),

 

al punto che dai poveri nativi

non si faceva certo catturare

coi loro mezzi troppo primitivi,       

anche perché nuotava in… alto mare.

 

Altro che reti! ci volevan cavi!

Degli uomini d'affari intraprendenti,

che avevano nel lago alcune navi,

di fare soldi furono contenti,

 

sfruttando l'immancabile occasione,

presentatasi lì per caso, in fondo,

e le carne di Persico - il pescione -

vendettero da allora a mezzo mondo.

 

Ma non finisce qui la nostra storia.

Ci si misero i Belgi a completare

la Disfatta del gran Lago Vittoria.

Sono trascorsi, voglio ricordare,

 

già duecent'anni circa, guarda un po',

dalla battaglia in cui Napoleone,

in Belgio, fu sconfitto a Waterlo,

ma l'Uomo non impara la lezione

 

che quella che sembrava una vittoria

fu alla fine sconfitta dei Francesi

(non appresero nulla dalla Storia

stavolta proprio i vincitori Inglesi,

 

che avevan le colonie attorno al lago).

E da chi fu il grandioso lago vinto?

Da un fiore d'acqua, bello, viola e vago,

che risponde al bel nome di Giacinto.

 

Il fiore fu portato dal Brasile

(forse in cambio dell'ape scutellata?)

perché è un bel fiore, con parecchio stile,

e - proprio come l'ape ricordata -

 

l'intenzione era buona: solamente

sfruttare la bellezza di quel fiore

per abbellir la casa a un possidente

d'origini fiamminghe, e dar colore

 

alla villa d'un Belga, nel Ruanda.

Ma finì nelle acque del Kagèra

e si gettò nel lago in Uganda,

propagandosi poi in cotal maniera

 

da coprirlo, causando addirittura

un grande intralcio alla navigazione.

Vuoi veder che stavolta la Natura

all'Uomo volle dare una lezione?

 

 

 

Ripensando di nuovo al Vittoria

all'ape, al pesce persico e al giacinto,

da dove cominciò tutta la storia?

Soltanto da una cosa, son convinto:

 

la voglia umana detta Sfruttamento.

Ma c'è tanto da dir su questo tema,

per cui dedicheremo all'argomento

una cantica intera del poema.

 

 

 

Segue: LO SFRUTTAMENTO

 

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