Storia d’un endecasillabo
sciolto
Ovviamente il titolo di questa storia è un endecasillabo sciolto.
Dato l’argomento, non potrebbe essere stato altrimenti.
L’endecasillabo è uno dei versi più conosciuti della lingua italiana. Sin
dagli albori della stessa, sia classica che
vernacolare, ce lo ritroviamo davanti soprattutto nei sonetti e in altri
componimenti brevi di cui parleremo più avanti, ma è fuori dubbio che
l’endecasillabo è stato da sempre il verso preferito dai poeti che scrissero i
lunghi poemi epici. Primo tra tutti, ovviamente, Dante, nella sua Divina
Commedia:
“Nel mezzo del cammin di nostra vita”…
ma non furono di meno l’Ariosto, nell’Orlando Furioso:
“Le donne, i cavalier,
l’arme, gli amori”…
e il Tasso, nella Gerusalemme Liberata:
“Canto l'arme
pietose e 'l capitano”…
Gli ultimi due, però, non essendo all’altezza del Sommo Vate,
rinunciarono a usare la terzina dantesca, sostituendola con l’ottava rima.
Comunque, sempre di endecasillabi in rima si trattava.
Nel secolo successivo fecero largo uso (seppure scarsamente poetico,
anche a giudizio dei loro contemporanei) dell’endecasillabo, vari poeti punto
interessanti, tanto è vero che qui non li menzioneremo nemmeno.
La Rivoluzione Francese, a quanto pare, liberò l’endecasillabo dalla schiavitù,
sciogliendolo dai legami della rima. Vincenzo Monti – gran traduttor de’traduttor d’Omero - (ovviamente
endecasillabo!) usò per la sua versione dell’Iliade - ammettendo lui stesso che
scriverla in rime sarebbe stato troppo difficile - gli ormai immortali
endecasillabi sciolti:
“Cantami o diva del Pelìde Achille”…
Ma non tutti rinunciarono alla rima.
Chi infuse nuova vita e vitalità al nostro endecasillabo rimato, fu il
Belli, che lo sfruttò per i suoi immortali Sonetti Romaneschi.
Lo ammetto, le mie origini di “Romano-de-Roma” non mi consentono di
essere obiettivo, ma diciamocelo tra noi: dopo esserci rotti le p… a
sufficienza a scuola, con Dante, Monti e compagnia bella, ammettiamolo pure che
è solo grazie al Belli che la letteratura italiana si fregia di quell’immortale
sonetto intitolato “Er Padre de li
Santi”, elencante 50 nomi differenti dell’organo genitale maschile… laddove
Poesia, Amore e… Anatomia si integrano in 14 endecasillabi rimati, che più…
Belli non ce n’è:
“Er
c… se po’ ddì rradica, uscello”…
Ed è proprio in segno di riconoscenza all’arte di quel vate romano, che
io lo portai come autore “a piacere” alla Maturità Classica, facendo
contemporaneamente “scena muta” sul Paradiso dantesco. Peccato che tra i membri
della commissione d’esame non ci fosse nessun romano...
A questo punto dell’elaborata dissertazione letteraria, è d’uopo porsi
la domanda di prassi:
Ma perché tutti i maggiori poeti della lingua italiana
scelsero proprio l’endecasillabo?
Eruditi professori di Letteratura Italiana daranno certamente
spiegazioni più pertinenti, ma io penso che la ragione più semplice vada
cercata nel fatto che l’endecasillabo è il verso della… prosa.
Se noi guardiamo il verso da vicino, è infatti
molto facile vedere che si potrebbe fare un bel discorso che, apparentemente
scritto in prosa, è invece tutto scritto proprio in versi: proprio gli
endecasillabi in questione. Questo perché la metrica del verso s’adatta a perfezione a detta prosa.
Insomma, con un po’ di fantasia, e con capacità di “verseggiare”, non
c’è argomento che non si potrebbe trattare in questi versi, e anche rimare.
Faccio notare al lettore che, per dimostrare quello che ho detto, ho
scritto il paragrafo precedente proprio in endecasillabi sciolti!
Dimostrato che l’endecasillabo è, insomma, il verso naturale e
spontaneo della lingua italiana, non fa specie che un po’ tutti i grandi poeti
ne abbiano fatto uso a profusione, e che, con ogni probabilità, esso è stato
usato anche da moltissimi ignoti verseggiatori, mai passati alla storia della
letteratura italiana.
Ovviamente, come succede spesso, anche i musicisti si sono appropriati
del verso, ragion per cui non deve sorprendere che non
poche canzoni famose contengano endecasillabi.
Qual è la canzone “italiana” più famosa al mondo (anche se, di fatto è… napoletana?
Ovviamente “O sole mio”.
Avete fatto caso che, ritornello a parte, la canzone è in endecasillabi
(a rime baciate)?
“Che bella cosa ‘na jurnata ‘e sole,
‘n aria serena doppo ‘na
tempesta,
pe’ l’aria fresca, pare già ‘na
festa.
Che bella cosa ‘na jurnata ‘e sole.”
Posso portare altri esempi, ma voglio limitarmi, di proposito, ad
alcune canzoncine, oserei dire un po’ “sconce”, alcune in Italiano, altre in
dialetto Romanesco:
Vi ricordate della filastrocca
“Sessantanove Arditi son partiti”, conosciuta
anche come “Di dietro al monumento di Mazzini”?
Endecasillabi.
E di:
“Pierino, Regazzino der
Tufello”…
Endecasillabi.
Ora, pensateci un momento: dato che si tratta
degli stessi versi, si potrebbe prendere il testo di un poema famoso e cantarlo
con la musica di una canzone non meno famosa, magari aggiungendo qua e là
qualche endecasillabo di nostra fattura, magari un po’ “sconcio”, tanto per
farci quattro risate.
Prendiamo la musica di “O sole mio” e tentiamo di cantare con essa il
proemio dell’Iliade di Vincenzo Monti. Poi magari, prima di sbizzarrirci a
nostro piacere, aggiungiamoci un pezzo di “recitato” senza musica. Continuiamo
poi la canzone, mettendo parole nostre.
Ecco il risultato. Peccato che non mi è venuto in
mente cinquant’anni fa, quando ero al Liceo…
Musica di “O sole mio”:
Cantami o diva del Pelìde Achille,
l’ira funesta che infiniti addusse
lutti agli Achei, molte anzitempo all’orco
generose travolse alme d’eroi…
Come suona? Mica male eh?
Adesso, prima di continuare, ci vuole il “pezzo aulico”: immaginatevi
una musica napoletana di sottofondo, e la profonda voce di un “fine dicitore”
che pronunci lentamente, con voce bassa e molta enfasi:
E, di cani e d’augelli orrido pasto,
lor salme abbandonò. Così di Giove
l’alto consigli s’adempia, da quando
primamente disgiunse aspra contesa,
il re dei prodi, Atride, e
il divo Achille…
e qui, lasciamo il nostro endecasillabo da parte, e
continuiamo con la musica della nostra canzone napoletana, a partire dal punto
“… ma ‘n ato sole, cchù
bello, oi ‘ne…”, e le parole:
E qual dei numi inimicolli?
Fu proprio lui, il Divi Apolli,
Irati, al sire fu,
perché lui a Crise mannò a fa ‘n cu…
poi continuiamo con l’epilogo:
Allora Achilli, lui s’incazzò,
e a ‘ffanculo il sir mandò.
Omero ci cantò su.
Che pure lui vad’a fa ‘n cu…
Ma, no, la conclusione non è abbastanza “aulica”.
Riscriviamo i due versi finali in forma più aulica, con la musica del
finale di “O sole mio”:
Omero Cantòcci su.
O Vate Omero…..ma va a ‘ffa
‘n cuuuuu… !!!