La Tribù

 

Preambolo

 

Mio nipote Davide fa parte degli Scouts. Tempo fa mi venne in mente di raccontargli alcuni aneddoti di due suoi "antenati", il suo bisnonno ed un suo pro-zio, che lo avevano preceduto in questa attività. Per rendere la lettura meno monotona, pensai di aggiungere qualche vecchia fotografia d'epoca, ripescata in un libro di memorie. Guardando le foto, vennero fuori altri personaggi, tutti appartenenti alla famiglia Di Veroli, quella di mia madre. Continuai a cercare qua e là altri aneddoti, parte ripescati nella memoria della mia infanzia, parte raccontati da altri. Piano piano mi sono lasciato prendere la mano... e ne è venuta fuori questa storia, che narra alcune vicende di tre generazioni della... Tribù.

 

Io sono un membro della quarta generazione, e la maggior parte di quello che troverete scritto nelle prossime pagine è basato su fonti indirette, riesaminate dopo tanti anni. I pochi ricordi personali si sono fermati a più di trent'anni fa, quando lasciai casa.

 

Quindi, questo racconto, più che assomigliare ad una biografia, assomiglia ad un bel pezzo di... Formaggio Svizzero, con poca sostanza e... buchi grandi... COSì.

 

I membri della terza generazione vanno scomparendo. Quelli della quarta hanno ricordi diversi da quelli miei. Invito la quinta e la sesta generazione a farsi raccontare dagli altri quello che manca in questa storia, prima che sia troppo tardi. Sono sicuro che gli altri "vecchi" della Tribù saranno in grado di aggiungere un po' di sostanza al nostro... formaggio. E che cerchino pure di usare la loro immaginazione: lo sanno tutti che la parte più saporita del Formaggio Svizzero sono... i buchi!

 

            

Nonno Tullio

 

Quando il timido sole, uscito tra le nuvole di quel tardo mattino di Gennaio, riscaldò i corpi intirizziti dei sei capi "scout" diciottenni, ai lati del feretro, tutti videro Nonno Tullio allargare uno dei suoi famosi sorrisi, da sotto il cappello alla Baden-Powell, poggiato sulla bara. Girato l'angolo, il corteo funebre si fermò davanti alla cartoleria, mentre tutti i passanti si levavano il cappello in segno di rispetto per il "Sor Tullio". Infine, i familiari salirono sulle macchine alla volta del Verano.

 

Se n'era andato due giorni prima, proprio alla vigilia della Befana, di attacco cardiaco, poco dopo aver messo in bell'ordine nello "studio" i regali per i nipoti, come Babbo Natale. La "Befana" di quel 1969 fu, naturalmente rimandata di una settimana, dopo la quale Nonna Renata ci consegnò i regali. Il posto era lo stesso, ma l'allegria se n'era andata per sempre con Nonno Tullio. Lo capimmo tutti, noi nipoti: da allora in poi la "Tribù" non sarebbe stata più la stessa. Nonno Tullio fu un gran dritto ad andarsene per primo. Sua madre, Nonna Fiorina, lo seguì pochi mesi dopo, mentre Nonna Renata si spense in cinque anni, piano piano, facendo del suo meglio per non disturbare nessuno, come sempre. Di lì a poco, i figli di Nonno Tullio cominciarono a litigare per le solite questioni ereditarie, ignorando completamente il desiderio dei nipoti di continuare la tradizione della tribù.

 

Nonno Tullio era figlio unico. Era nato, se non erro, il 16 Luglio del 1897, da Angelo e, naturalmente, da Nonna Fiorina.

Quando lui aveva tre anni, i genitori aprirono un negozio di cartoleria sotto i portici di Piazza Vittorio. Nel 1914 Angelo entrò in ospedale per una operazione minore, e non ne uscì. Pare che allo scoppio della Grande Guerra Nonno Tullio, allora diciottenne, fosse richiamato, nonostante fosse figlio unico di madre vedova, e fece il servizio nel Genio. Questo è almeno quanto è stato scritto in un libro di memorie di famiglia. Ma a me è nota una versione diversa, secondo la quale Nonno Tullio sarebbe scappato di casa ancora prima che l'Italia entrasse in guerra, per andare a combattere sul fronte francese, insieme ad una unità di volontari italiani. Pare che Nonna Fiorina, visibilmente insoddisfatta della cosa, se lo sia andata a predere, per riportarselo a casa con la forza. Comunque siano andate le cose, fatto sta che Nonno Tullio si salvò dalla Grande Guerra. Nonna Fiorina, la mia bisnonna, se non l'avete capito finora, era una donna che sapeva farsi obbedire. Io l'ho conosciuta già  anziana, quando alla cassa della cartoleria, dava ordini ai commessi e riceveva gli ossequi di tutti i commercianti di Piazza Vittorio. Ma di lei parleremo altrove. Diremo solo che, anche se Nonno Tullio era il Capo Tribù, la vera Matrona era lei, Nonna Fiorina.

 

Poco dopo la guerra, nel '22, quando aveva 25 anni, Nonno Tullio si sposò con Renata Mieli, che allora ne aveva 19. Credo che il matrimonio fosse stato una cosa combinata dalle famiglie, come forse usava allora, anche perché Nonna Renata era nata e viveva ad Anagni, un piccolo paesino in provincia di Frosinone. Non so per quali ragioni la famiglia Mieli fosse arrivata laggiù, e poco importa. Come anche in altri aneddoti sui nonni, esiste anche un'altra versione, secondo la quale Nonna Renata non si sposò affatto con un matrimonio di contratto: anzi pare che Nonno Tullio si fosse incapricciato di lei a dispetto del contratto che Nonna Fiorina voleva stipulare con una famiglia facoltosa: Nonna Fiorina, infatti, aveva messo un annuncio di matrimonio per Nonno, nel quale era specificato che la sposa sarebbe dovuta essere solo una persona colta e benestante.

Ma Nonno Tullio, a sua insaputa,  aveva già scelto diversamente e quindi, trovandosi con una situazione pregressa Nonna Fiorina si dovette… accontentare.

 

Comunque siano andate le cose, a partire dal matrimonio, Nonna Renata andò ad abitare nella casa di via Pellegrino Rossi 14 che,  per tutta la tribù, rimarrà sempre "la casa di Nonna Renata". La realtà, però, era un'altra: chi comandava era Nonna Fiorina. Nonna Renata rimase sempre, agli occhi della suocera, solo una persona chiamata a continuare la stirpe e ad "organizzare" Nonno Tullio. La scelta di Nonna Fiorina era stata ben fatta: Nonna Renata adempì i due compiti  alla perfezione, senza mai protestare, almeno in pubblico. Io, personalmente, non l'ho mai sentita discutere né tantomeno alzare la voce. Solo molti anni dopo seppi la verità da lei stessa. Nonna Fiorina se n'era andata il 20 Agosto, dieci giorni prima di diventare trisnonna. Io, che avevo in programma un viaggio sentimentale con la complicità di Zio Franco, il figlio minore di Nonna Renata, dovetti rimandare la cosa, perché nonna, il giorno dopo il funerale della suocera, decise di cambiare tutta la disposizione dei (pesantissimi) mobili della casa e di aprire un varco nel muro che separava la camera da pranzo con quella che era stata fino al giorno prima la camera da letto di Nonna Fiorina. Zio Franco fu incaricato di occuparsi della cosa, anche fisicamente, così che, per abbreviare i tempi, gli detti una mano. Il perché dell'urgenza di tutto questo tran-tran mi fu spiegato da Nonna Renata stessa: "Devi sapere - mi disse - che quando mi sposai con Nonno e venni ad abitare qui, Nonna Fiorina ci lasciò la sua vecchia camera, letto matrimoniale compreso, e lei si fece fare una camera per sé, tutta nuova...". Nonna Renata, insomma, aveva ingoiato il rospo per cinquant'anni, e solo ora, che Nonno Tullio non c'era ormai più da qualche mese, si era potuta levare la soddisfazione di cancellare fisicamente le imposizioni e la presenza della suocera. Capii perché l'eliminazione della camera di Nonna Fiorina non poteva aspettare un solo giorno. La ragazza che mi aspettava su una certa spiaggia della Toscana, mi vide arrivare con quattro giorni di ritardo sulla data pattuita. Quando alla fine ci ritrovammo, lei era visibilmente seccata. Spiacente, ma non avevo potuto comunicarglielo: allora non c'erano ancora i telefonini...

 

La Tribù si riuniva al gran completo nella  casa diverse volte all'anno. Il posto non mancava: la porta di ingresso si apre in un grande atrio dal quale si accede in uno stretto corridoio che lo circonda da tre lati e nel quale si aprono la stanza da letto con servizi della servitù, il bagno, la cucina, la sala da pranzo, ed altre quattro camere. L'appartamento non è così grande come si potrebbe pensare, giacché per molti anni ci vissero regolarmente otto persone: Nonno Tullio, Nonna Renata, Nonna Fiorina, i loro quattro figli e la domestica. Due stanze, negli anni, cambiarono la loro funzione. Una fu occupata inizialmente dai due maschi, l'altra dalle due femmine. Quando queste si sposarono, alla fine degli anni quaranta, zio Angelo e zio Franco ne ebbero una ognuno per sé. Poi, quando anche Angelo lasciò casa, la camera delle ragazze diventò definitivamente quella di zio Franco, mentre l'altra diventò "Lo Studio" di Nonno. Lo studio era la camera dei segreti: sempre chiusa a chiave, era zona extraterritoriale per noi nipoti. Anzi, era zona extraterritoriale per tutti, credo. Nonno Tullio ci si rifugiava quando non voleva essere disturbato, soprattutto dalla madre. Quando ero già grandicello, mi permise di entrarci per mostrarmi non so che "oggetto speciale". Entrando per la prima volta nel Sancta Sanctorum di Nonno Tullio, scoprii che lo studio non aveva niente a che fare con il resto della casa. Era arredato con scaffali e scrivania supermoderna in stile svedese, in netto contrasto con i solidi mobili stile Libety del resto della casa, scelti sicuramente almeno cinquant'anni prima da Nonna Fiorina. Gli scaffali e la scrivania erano pieni dei gadgets più moderni che si potevano trovare sul mercato alla fine degli anni sessanta: lampada a braccio snodabile, giradischi a puntina con braccio superleggero, registratore, e tutto quello che si sarebbe potuto trovare nell'ufficio del direttore di qualche azienda High-Tech americana. Non mi sarei meravigliato se improvvisamente fosse sbucato fuori dal nulla Sean Connery nelle sembianze di 007.

Nonno era, in segreto, un patito della tecnologia. Se fosse vivo ora, non mi sorprenderbbe vederlo seduto nel suo studio a navigare su internet, di fronte ad uno schermo piatto LCD. Ma forse questa sua passione non era, poi, tanto un segreto. Nonno Tullio si trovava a suo perfetto agio nel futuro. Peccato che non abbia fatto a tempo a conoscere il PC. Pochi mesi prima di morire mi beffeggiò, quando mi vantai della capacità tecnologica della mia generazione, che ci avrebbe in breve portato sulla luna. "Voi giovani non avete visto un bel niente! - mi disse - Pensaci: quando io ero bambino, l'automobile era appena stata inventata, non c'erano ancora gli aerei, della televisione nemmeno a sognarla, e non c'era ancora nemmeno... la radio!". "Io - concluse - ho visto veramente il progresso della tecnologia, non voi giovani!". Accusai il colpo: Nonno Tullio aveva perfettamente ragione.   Si perse per un soffio l'atterraggio sulla luna, ma almeno fece in tempo a vederne tutti i preparativi.

 

La Tribù era composta oltre che dalle persone già citate, dai mariti Zio Dario e mio padre, da Zia Laura, la moglie di Zio Angelo e da otto cugini, ai quali si aggiungevano di diritto Sandro e Lucia, figli del fratello di Nonna Renata, Zio Mario e della moglie. Zio Mario aveva perso la prima moglie e due figli piccoli durante la guerra e si era risposato agli inizi degli anni cinquanta con Zia Gianna, una cristiana. Sandro e Lucia avevano la nostra età e partecipavano a tutte le riunioni della tribù, comprese quelle al Tempio Maggiore e alla cena che seguiva la rottura del digiuno di Yom Kippur, tenuta, per tradizione, al ristorante "Scarpone".

Quella del Yom Kippur era, senza dubbio, la più importante riunione annuale della tribù. Il climax della stessa era la benedizione dei Coanìm alla fine del digiuno. Tutti i maschi della tribù si radunavano per la preghiera di Ne'ilà nell'angolo di destra del Tempio Maggiore. Poco prima della benedizione e del suono dello shofàr, venivamo raggiunti anche dalle femminucce, Alle quali era permesso, secondo la tradizione romana, in via tutta speciale, di scendere dalla galleria, riservata alle donne. Nonno Tullio saliva in piedi su una delle sedie ed allargava a tenda il suo grande talled, sopra la testa dei due figli maschi e dei due generi, i quali, a loro volta aprivano a tenda il loro, su noi sei cugini, ai quali si aggiunsero, negli ultimi anni, Stefano ed Anna, i figli di Zio Angelo. Accanto a nonno si rizzava Zio Mario, che copriva con il talled Sandro e Lucia. Io, questo momento solenne, me lo ricordo soprattutto dal pavimento e da un muro di manti bianchi. Nonno ripeteva a bassa voce la Benedizione dei Coanìm, con le spalle rivolte all'altare: secondo la tradizione, infatti è proibito guardare verso i Coanìm, perché in quel momento Dio Passa sopra il pubblico.

Al suono dello Shofàr il digiuno finiva e tutta la tribù andava in macchina da "Scarpone" per la cena. La trattoria "Scarpone" si trova vicino a Porta S. Pancrazio ed è gestita dalla stessa famiglia da quasi duecento anni. Il segno di riconoscimento era uno scarpone rotto, disegnato in neon verde, accanto al nome in corsivo.

Nonno Tullio, naturalmente, si sedeva a capo tavola, mentre il resto della tribù sedeva ai lati del lungo tavolino ricoperto con una candida tovaglia, mentre i cugini più giovani (me compreso, fino a una certa età) scorazzavano nell'ampio spiazzo ghiaiato o... si nascondavano sotto il tavolino.

 

Un'altra occasione in cui ci si riuniva in trattoria era quando Nonno Tullio ci invitava tutti a pranzo per il suo compleanno, qualche domenica d'Estate. La trattoria non era mai la stessa, ma era sempre in qualche posto fuori Roma, in genere ai Castelli. L'unico ricordo sbiadito di una di queste occasioni è quello della burla fatta da Nonno a Zio Dario, un tipo notoriamente schizzinoso. Nonno inserì di soppiatto nel bicchiere di vino bianco di Zio Dario un cubetto di lucite trasparente, nel quale era stato "mummificato" un bel moscone. Nonno, poi, porse il bicchiere a Zio, con il pretesto di un brindisi alla salute. Zio vuotò d'un fiato mezzo bicchiere, e poi sia accorse improvvisamente del moscone. Vi potete immaginare la faccia di Zio e le sonore risate di Nonno...

Zio comunque non se la prese troppo a male ed alla fine del pranzo, intonò a squarciagola insieme a mio padre ed a... Nonno stesso, la solita canzone:

"... E sempre sia lodato quel fesso che ha pagato!!".

 

Ma, per noi ragazzi, la pricipale riunione della Tribù avveniva il 6 Gennaio, giorno della Befana. Essendo Ebrei, noi cugini non potevamo godere dei regali di Natale, naturalmente, e siccome Chanukkà non è una festa importante nella tradizione ebraica romana, i nonni istituirono la tradizione della "Befana", festa "neutrale", nella quale ogni famiglia preparava anzitempo dei regali per tutti i bambini delle altre famiglie, cosicché ognuno di noi riceveva quattro o cinque regali a testa. Ogni famiglia faceva i regali in base alle sue possibilità economiche, e noi eravamo in trepida attesa di quelli più belli e costosi, che erano sempre quelli di Nonno e di Zia Gianna. Ecco perché una settimana dopo la morte di Nonno, Nonna Renata ci riunì per distribuire quelli che lui aveva preparato con cura, come tutti gli anni passati. Per l'ultima volta. Peccato.

 

 

Zio Franco

 

Oggi, grazie alla televisione a colori, miliardi di persone "partecipano"  alle più importanti maniferstazioni sportive, ma quel 25 Agosto del 1960, solo poche decine di migliaia di fortunati  ebbero il privilegio  di assistere dagli spalti dello Stadio Olimpico di Roma, alla cerimonia di apertura della XVII Olimpiade.

Insieme a mia sorella ed ai miei cugini, io fui uno di quei pochi fortunati.  Non sorprenda, quindi, se quella cerimonia sia rimasta impressa nella mia memoria fino al giorno d'oggi. Allora la cerimonia di apertura delle Olimpiadi era una cosa molto semplice: senza balli, musica e luci multicolori. Solo la sfilata delle delegazioni, il giuramento e la corsa del tedoforo su per la scaletta, per accendere la Fiaccola Olimpica: La quintessenza dello sport dilettantistico che non esiste più.

 

Per me, il rappresentante per antomomasia di questa "quintessenza dello sport" era l'unico adulto che accompagnava quella la selva di cugini: Zio Gianfranco, chiamato in breve Zio Franco.

 

Zio Franco fu l'ultimogenito di quattro fratelli. Nato sette anni dopo Angelo, fu dunque il "piccolo" di famiglia. A differenza di quanto ci si potrebbe aspettare, però, non fu mai un bambino "viziato", anzi... come vedremo, parlando di Nonna Fiorina, ebbe molto a risentire del fatto di essere stato, probabilmente, un bambino "sgradito". Zio nacque nel '34, quindi il periodo delle leggi razziali e della guerra lo passò da bambino ancora piccolo. Presumo che questo fatto causò non pochi grattacapi in famiglia, durante il periodo della guerra, ma almeno gli permise di emergere dalla bufera all'inizio dell'adolescenza.

 

Estromesso a forza dalla nonna dagli oneri (e dai profitti) dell'azienda di famiglia, a favore del fratello maggiore, ebbe tutto il tempo di dedicarsi ad altre attività, specialmente a quelle sportive. Zio aveva il carattere di Nonno Tullio: da eterno bambinone. I miei primi ricordi risalgono al periodo che andò militare. Nei Bersaglieri, perché, come disse lui, in quell'unità "si faceva dello sport". Avevo allora quatto-cinque anni, e me lo ricordo arrivare in licenza con il fez rosso in testa, con il pon-pon blu ricadente sulle spalle o, ancora meglio, con il classico cappello nero da alta uniforme, con le penne al vento, messo, naturalmente, "sulle 23", come si addice ad un vero bersagliere.

 

E forse è proprio questo il miglior modo di ricordare Zio Franco: ascoltando il "Flik-Flok"....

                           

(clicca il link e, dopo l'ascolto, torna al testo. Si cosiglia vivamente di ... abbassare il volume)

 

http://www.fanfaralamarmora.it/musiche/FlickFlock.mp3

 

Per noi "nipotini" zio Franco fu proprio quello che ci si aspetta da uno zio: sempre gioviale, allegro e soprattutto... pronto a giocare.

 

I ricordi, dopo così tanti anni, si accavallano nella memoria, e non sono più in grado di dire quali furono i più remoti, quali i più recenti, ma, in fondo, cosa importa? Uno zio giocherellone è sempre uno zio giocherellone, a prescindere dell'età del nipote.

 

Zio Franco era un vero sportivo. E da vero sportivo si dedicò più di uno sport contemporaneamente. Uno di questi fu la scherma: il fioretto, per la precisione. Zio abitava ancora nella casa di nonna, tanto è vero che mi ricordo come l'ampio atrio dell'ingresso diventava la pedana del duello all'arma bianca. Zio mi vestiva con il giubbotto imbottito e con la maschera, poi mi spiegava tutte le varie pose di saluto, di "pronti al duello", di "affondi" e di "parate". Infine ci scambiavamo alcune stoccate di fioretto. Le armi erano naturalmete attrezzate di un vistoso e sicuro "tappo" sulla punta, per evitare di ferirsi, proprio come quelle alle Olimpiadi. Il vestiario era scomodo e pesante, il polso doleva nel reggere la spada, ma... che bel divertimento!

 

All'aperto, da buoni Italiani, si giocava, naturalmente a pallone, ma anche qui Zio Franco era uno sportivo speciale: giocava nel ruolo di portiere in una squadretta locale. Zio, naturalmente, mi insegnò tutti i trucchetti del mestiere: come "chiudere" la porta in caso di punizione, come parare i rigori, come afferrare il pallone in modo che non sfugga dalle mani, ecetra. Io non sono stato mai un granché nel gioco dal calcio, ma quel ruolo e quei trucchetti mi aiutarono a farmi accettare nella squadretta dei ragazzini del vicinato, giacché "tappavo" il buco del ruolo che nessuno voleva mai prendere durante le partite. Ad un certo punto, nonostante gli occhiali, grazie alle mie performances divenni addirittura il "capitano" di un gruppo di ragazzini di qualche anno più giovani. Grazie agli insegnamenti di Zio Franco, assaggiai per la prima volta il sapore di essere un "capo". Io sono tutt'altro che un leader naturale: da allora dovettero passare molti anni, prima che riprovassi quella bella sensazione, al comando della mia compagnia, impegnato in azioni militari vere e proprie.

 

Comunque Zio Franco aveva ereditato da Nonno Tullio soprattutto l'amore per gli Scout. Purtroppo non ebbi modo di partecipare a questa sua attività, perché nel mio quartiere non c'era una tribù di scout laici. Quelli che c'erano, erano legati alla parrocchia locale. Gli unici cugini che ebbero modo di partecipare ai Jamboree furono Sandro e Lucia e, una generazione dopo, mio nipote Davide, per il quale ho cominciato a scrivere queste righe. La tradizione della Tribù non è spenta: " Be ready - Sii Preparato!".

 

Zio Franco rimase a scapolo a lungo. Questa fu la ragione per la quale potè fare "Lo Zio" per tanti anni. Quando arrivai all'età dell'adolescenza, apparve sulla scena Germana, che ci vietò categoricamente di chiamarla "Zia". Germana ha sempre voluto mantenere il suo status di amica, mai quello di "parente". Tra loro si chiamavano con i soprannomi "Gè e Già". Germana e Zio Franco si sposarono solo quando, arrivati alle soglie dei quaranta, decisero di mettere al mondo un figlio: mio cugino Daniele. Contando anche Sandro e Lucia, Daniele fu l'undicesimo ed ultimo cugino, e nacque l'Undici Novembre del '74. Non poteva essere altrimenti, perché...

 

 

Il numero 11

 

Anche le persone che, come me,  non credono agli oroscopi ed alle credenze popolari, ne ne mantengono a volte qualcuna per tradizione di famiglia. Nel caso della Tribù esiste una credenza più o meno radicata e riconosciuta da tutti i suoi membri, secondo la quale il numero 11 ha qualche significato speciale, in modo particolare riferito al giono del mese.

 

Sembra che questa credenza sia stata portata alla Tribù da Nonna Renata, la quale soleva anche giocare questo numero al lotto con una certa costanza, anche se con successo un po' minore: pare che l'unica volta che questo numero venne fuori in una estrazione sostanziosa, fosse proprio quella nella quale nonna si dimenticò di riempire il modulo... Insomma l'11, pur essendo riconosciuto come il "Numero Ufficiale" della Tribù, a volte se ne faceva le beffe...

 

Naturalmente so benissimo che, volendo, si potrebbe estrarre facilmente qualsiasi numero da qualsiasi combinazione di date. Molte persone che credono nella numerologia, pagano fior di quattrini per farsi consiglire dagli "esperti" in materia, ignorando che quelli li prendono in giro, usando le quattro operazioni come fa comodo a loro, a seconda del caso.

 

Comunque, statistica alla mano, la data "11 del mese" ricorre nella Tribù senza dubbio più spesso di quello che la casistica randomale permetterebbe: la primogenita di Nonna Renata, mia Zia Enrica, è nata l'11 Marzo, e la secondogenita, mia madre, l'11 Agosto. La prima nipote di Nonna, mia cugina Michela, è nata l'11 Luglio, per non parlare dell'ultimo della serie, mio cugino Daniele, che è nato addirittura l'11 Novembre del '74 (7+4 =11 !). Non mi risulta che altri membri della Tribù siano nati l'11 del mese, ma anche io ho cominciato a credere a questa data, considerando che sono nato il 26 Dicembre (2+6+1+2=11) e che mia sorella è nata il 28 Gennaio (2+8+1=11).

 

Anche senza metterci di mezzo il famigerato 11 Settembre, altri "11 del mese" che hanno segnato delle date da ricordare nella mia vita sono: Prima ragazza - 11 Luglio, Matrimonio -  11 Febbraio. L'11 di altri mesi ricorre anche per altri avvenimenti importanti della mia vita, sui quali non mi dilungo.

 

Un'ultima curiosità:  Alla fine del 1999 mia cugina Rosella venne in visita in Israele. Sapendo che il mio compleanno cade pochi giorni prima di capodanno, pensò bene di regalarmi un biglietto dell'estrazione del lotto "del Millennio", che aveva premi maggiorati, rispetto alle estrazioni regolari, aggiungendo che questo "regalo" le sembrava più adatto del solito "maglione"... Chissà... un po' di buona fortuna... Nonna ci credeva...

 

Non ci crederete, ma delle 12 combinazioni possibili, una sola conteneva il numero 11, che... naturalmente venne estratto insieme ad altri tre della combinazione. Non sono diventato milionario, ma il piccolo premio fu pari ad... 11 volte il prezzo del biglietto comprato dalla cugina... Un occhiolino di Nonna Renata da Lassù, o semplice... Fattore C? ai posteri l'ardua sentenza...

 

 

Nonna Renata

 

Vorrei completare la figura di Nonna Renata con qualche altra informazione, raccolta in modo piuttosto frammentario dai vari membri della Tribù. Non escludo che in questi ricordi ci siano alcune inesattezze, che mi prometto di correggere in futuro.

Renata Mieli nacqe nel 1902 ad Anagni, un paesino in provincia di Frosinone, da Graziano e da Sarina. Il padre faceva il rappresentante di dolciumi e, presumibilmente, la famiglia era piuttosto male in arnese. Pare che all'età di dieci mesi nonna sia stata "adottata" da degli zii, Celeste e Giacomo, viventi a Roma. Questi zii avevano perso poco prima una figlia, di nome Enrichetta, morta di parto all'età di 18 anni (cosa molto comune a quei tempi). Non escludo che il nome Renata, dato a mia nonna, fu scelto proprio perché lei era, appunto, "rinata", in vece del/la figlio/a della defunta cugina Enrichetta. Non sono sicuro di questi particolari, ma mi sembrano plausibili, anche alla luce della fotografia del matrimonio di Nonna Renata e Nonno Tullio, nella quale gli zii sono ripresi in posa in bella mostra ai lati degli sposi, mentre i genitori di Nonna Renata sono fotografati in seconda fila, quasi come se fossero persone meno importanti.

Un paio di anni più tardi nacque un fratello minore, Mario. Ignoro se e quando i genitori di nonna e zio Mario si trasferirono a Roma, ma è certo che di fatto Nonna Renata fu allevata dagli zii. Questi zii avevano un negozietto di merceria e, va detto a loro onore, non solo insegnarono il mestiere a nonna, ma si curarorono di farle avere un'istruzione, naturalmente di carattere pratico. Nonna infatti, cosa rara per una ragazza di quei tempi (attorno alla Prima guerra mondiale), si diplomò in Ragioneria. Nonna Renata aveva le mani d'oro, ed era bravissima nei lavori manuali. Non escludo che avesse un discreto talento artistico e, chissà, in un altro contesto, sarebbe potuta diventare una brava pittrice o simili, ma invece divenne una brava cuoca, un'ottima organizzatrice e, dote del tutto non trascurabile, ebbe un'ottima capacità di risparmio. Nonna seppe sempre accontentarsi di poco, fu sempre umile e parca per se stessa, ma, al tempo stesso, molto pulita ed ordinata. Nonna riversò il suo talento artistico nella disposizione delle piccole cose di casa: entrando a "Casa di Nonna" si aveva sempre la sensazione che se qualcuno avesse spostato qualche oggetto, avrebbe scombussolato irrimediabilmente l'ordine "naturale" della casa.

 

Gli zii, come ho detto, si curarono anche di dare un'istruzione a Nonna Renata. Considerando che lei (a giudicare dalle fotografie) non era una bellezza e, soprattutto, era povera, le dettero l'unica dote che le avrebbe consentito di trovare un buon partito. Nonna Renata seppe mettere a profitto quel poco che le concedette la vita di ragazza "trovatella", tanto è vero che, appena diplomata, come leggeremo tra poco, la madre di un suo lontano cugino ritenne che la dote era sufficiente, ed appropriata alle sue esigenze.

 

Fu così che, all'età di 19 anni, Nonna Renata andò in sposa ad un lontano cugino, Nonno Tullio. Non escludo che Nonna Renata fosse felice di sposarsi così giovane. Forse sperava di uscire da quella sua situazione di "trovatella", trovando il "Principe Azzurro". Infatti lo trovò, nelle vesti di mio nonno, ma, contemporaneamente, si ritrovò anche a fare la Cenerentola per tutto il resto della vita, con la differenza, rispetto alla favola originale, che la "Matrigna" fu, invece, l'onnipotente ed onnipresente suocera.

 

Nella storia della Tribù ci furono due persone di nome Angelo: il defunto suocero di Nonna Renata, che forse lei nemmeno conobbe personalmente, ed il primo figlio maschio, chiamato in nome del nonno e, come vedremo, "Erede al Trono" dell'azienda.

 

Ma il vero ed unico angelo della Tribù, se ce n'è stato uno, fu proprio lei: Nonna Renata.

 

 

Nonna Fiorina

 

Gli Inizi

 

Mia bisnonna Fiore Di Segni in Di Veroli – per tutti: Nonna Fiorina – fu la fondatrice della Tribù e, per quasi un secolo, ne fu la Monarca Assoluta. Proprio come la Regina Vittoria, infatti, guidò e determinò la storia della Tribù, fino alle generazioni successive. Come è scritto anche in un libro uscito in occasione del centenario dell'Azienda, Nonna Fiorina fu una donna dal carattere forte e dalla volontà d'acciaio. Una volontà, aggiungo io, che nonna seppe sempre imporre, durante i suoi novant'anni di vita, senza mai fare una piega, su tutto e su tutti.

 

Poco dopo la sua morte, avvenuta il 20 Agosto del 1969, solo dieci giorni prima che diventasse trisnonna, i suoi nipoti si trovarono in considerevole disaccordo su certe questioni ereditarie. La cosa non sorprende, giacché queste sono cose che succedono nelle tribù migliori , ma oggi, a distanza di tanti anni, e con gli occhi di un pronipote che conosce certi fatti solo per "sentito dire", possiamo capire come questi dissensi, che causarono la frantumazione della Tribù, abbiano avuto origine remote. Tutta colpa – o merito, a seconda del punto di vista – di Nonna Fiorina: Quella che "creò" la Tribù, attorno all'azienda, e che la tenne ben salda ed unita, con le "buone" o con le "cattive". Andata lei, la Tribù finì per sparpagliarsi ai quatto venti.

 

Nonna Fiorina, ci dice appunto la storia, nacque a Roma qualche anno dopo che la città era diventata la capitale d'Italia. Nel 1900 aprì con il marito Angelo una cartoleria sotto i portici di Piazza Vittorio. La cartoleria ed i suoi sviluppi posteriori sono conosciuti come "l'Azienda" o, per noi della Tribù, come "il Negozio". All'epoca dell'apertura del negozio, la coppia aveva un figlio unico nato tre anni prima: Nonno Tullio, appunto. Il negozio fu diretto fin dall'inizio con criteri moderni e quasi rivoluzionari per quei tempi. Oltre all'esposizione dei prodotti all'ultimo grido in apposite teche e vetrine, le commesse, per esempio, erano vestite con un camice uguale per tutte. L'azienda continuò a prosperare negli anni successivi, finché, purtroppo, Angelo, entrato nel 1914 in ospedale, per un'operazione minore, non ne uscì.

 

Nonna Fiorina, nonostante il colpo, non si perse d'animo. Forse fu il carattere, forse l'esperienza di vita (era rimasta orfana di padre a nove anni, con tre fratelli minori da allevare), forse furono entrambi le cose, fatto sta che lei si buttò anima e corpo nel negozio, trasformandolo nei cinquanta anni successivi in un'azienda prosperosa, che poi è diventata, in mano al nipote ed ai pronipoti, un'azienda internazionale, specializzata nel campo.

 

Ma la storia dell'azienda è scritta altrove. A noi interessa la figura di Nonna Fiorina in seno alla Tribù. Per raggiungere lo scopo di vita che si era prefissata, Nonna Fiorina, con decisione e costanza veramente esemplari, e soprattutto con il suo carattere d'acciaio, prese da sola  le decisioni e le portò sempre fino in fondo, combattendo vittoriosamente contro chiunque le si oppose sulla strada del successo.

 

La prima furiosa battaglia fu da lei combattuta immediatamente dopo la morte del marito, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Nonno Tullio, allora diciott'enne (quindi minorenne), probabilmente influenzato dallo spirito irredentista dell'epoca e, chissà, forse per sfuggire dall'opprimente madre, fuggì da casa, per aggregarsi ad un gruppo di volontari italiani sul fronte della Marna in Francia. Nonna Fiorina, che certamente vide i suoi futuri progetti in pericolo, non esitò ad andare personalmente a discutere con i generali in prima linea, leggi alla mano, per riportare a casa, con la forza, quello scapestrato "figlio unico di madre vedova". I generali, inutile dirlo, gliela diedero vinta: la Legge era dalla sua. E non mi sorprenderebbe scoprire che acconsentirono a congedare Nonno Tullio anche in onore al "fegato" che aveva dimostrato la madre.

 

L'Anteguerra

 

Salvato il figlio unico dal furore della Grande Guerra, Nonna Fiorina pensò bene di raddrizzarlo, facendogli assumere le dovute responsabilità, prima tra tutte quella di mettere su famiglia, anche (o forse soprattutto) per dargli l'erede, che avrebbe continuato a dirigere le sorti dell'azienda dopo di lei.

Nonno Tullio era un bel ragazzo, gioviale, simpatico, esuberante. Uno dei primi a far parte del movimento scautistico, tanto da ricevere in seguito la rara onorificenza di "Scout Reale". Non mi sorprenderebbe venire a sapere che le belle ragazze dell'epoca andassero pazze per lui, e che lui avrebbe preferito sposarsi con qualche bel pezzo di figliola. Ma Nonna Fiorina la pensava diversamente. Dopo aver "esaminato" alcune candidate, tra cui la futura direttrice della Scuola Ebraica, la sua scelta cadde su una lontana parente (donne e buoi, dei paesi tuoi): la giovane Renata aveva, oltre alle altre qualità, anche  il pregio di essere diplomata in Ragioneria, la qualcosa, agli occhi di Nonna Fiorina, era tutt'altro che da buttare via: il negozio, ormai prosperoso, aveva bisogno di una persona fidata, che sapesse fare bene i conti. I ragionieri stipendiati erano cari e non necessariamente affidabili fino in fondo. Le nuore, invece, erano... famiglia e... gratis! Poco male se la candidata non era una bellezza: se all'esuberante giovanotto fosse venuta la velleità di avere delle "scappatelle", lei sarebbe stata lì, a dirigere, a comandare, a controllare che la cosa non sfociasse in una crisi coniugale, tanto pericolosa per i suoi proggetti futuri.

 

C'è da dirlo: non ho mai sentito che "scappatelle" del genere siano mai avvenute. E certamente Nonna Renata e Nonno Tullio impararono, con gli anni, ad amarsi a vicenda. D'altronde la cosa è perfettamente concepibile, trattandosi di due persone che seppero sempre farsi amare da tutti. Io, poi, come nipote, non potrei pensarla diversamente. Non sarei comunque obbiettivo, trattandosi dei miei cari nonni.

 

Ma continuiamo la storia di Nonna Fiorina. Tanto per far cominciare il matrimonio sul piede destro, Nonna Fiorina pensò bene di... andare in viaggio di nozze insieme agli sposini. Poi, come già detto all'inizio, li insediò nella sua ex camera matrimoniale, rifacendosi per lei una cameretta tutta nuova. Un anno dopo, la casa udì i vagiti della prima nipote, Enrichetta, chiamata come la defunta cugina. Otto mesi dopo la nascita di zia, Nonna Renata rimase di nuovo incinta ed in capo due anni dal matrimonio  nacque mia madre, alla quale fu messo un nome senza storia, di moda a quei tempi, Silvana. Presumo che la nascita di una seconda femmina non fu di eccessivo gradimento di nonna Fiorina, ma su queste cose, a quei tempi, decideva solo il Caso, mentre Nonna Fiorina decideva su tutto il resto. Le due bambine erano molto diverse di aspetto e di carattere, ma vennero vestite sempre uguali, come se fossero gemelle. Perché per Nonna Fiorina, avevano la stessa sorte: un'istruzione sommaria, una buona dote e... ciao.

Nonna Fiorina  era dotata di una finissima sensibilità commerciale. Seppe sempre cogliere al balzo tutte le novità e riuscì sempre a far "far galoppare" l'azienda in testa a tutti i concorrenti, anzi seppe rimanere sempre di... un'incollatura più avanti. Nonna si era prefissata, come scopo di vita, di far prosperare il negozio e di portarlo verso il suo glorioso futuro. Ci riuscì, superando per strada non pochi ostacoli. Ma potè fare tutto questo, perché diresse l'azienda da Monarca Assoluta. Fin dagli inizi capì sicuramente che non poteva permettersi il lusso di venire a compromessi. Probabilmente per questo non si risposò, ma preferì programmare il futuro dei suoi eredi.

 

Per essere sicura che gli altri avrebbero fatto sempre la sua volontà, innanzi tutto li tenne legati a sé per la borsa: I soldi rimasero sempre in mano sua, (o di chi a lei sembrò più opportuno nella contingenza). Seppe investire il capitale che si accumulava, parte per ingrandire piano piano l'azienda, parte per comprare degli immobili, aventi funzioni diverse. Gli immobili, inutile dirlo, erano tutti intestati a nome suo. Già alla fine degli anni venti acquistò ad Ostia un appartamento per la villeggiatura, sul quale ritorneremo, parlando degli anni cinquanta. Poi un magazzino, ed altri appartamenti, compreso quello soprastante il negozio, che permise più in là allo stesso di estendersi anche in altezza.

 

Se Nonna Fiorina sapeva vedere molto in là nel futuro in fatto di commercio, aveva delle idee molto "all'antica" in altri campi, primo fra tutti quello di carattere ereditario. Proprio come nella Bibbia e nel Medio Evo, stabilì che l'azienda sarebbe dovuta passare ad una sola persona: nella fattispecie il Primogenito Maschio di Nonno Tullio, Zio Angelo, nato, finalmente, tre anni dopo la sorella. Questo suo modo di pensare aveva senza dubbio una sana logica commerciale: bisognava ad ogni costo evitare che il "Reame" faticosamente conquistato, si spezzettasse in futuro in tanti frammenti. Anche durante il Medio Evo, il primogenito maschio era quello che ereditava il Titolo. I figli cadetti si guadagnavano il pane facendo... i cavalieri e... combattendo i draghi.

E le femmine? A loro si forniva una buona dote e si davano in sposa al primo Principe Azzurro di passaggio. Era lui che avrebbe dovuto, da allora in poi, provvedere al loro sostentamento... il più lontano possibile dall'Azienda...

 

Sette anni dopo la nascita di Zio Angelo, successe un'increscioso incidente: quando Nonna Fiorina pensava che le cose familiari fossero ormai sistemate, nacque un altro maschio, Zio Gianfranco. Brutta faccenda: un pericoloso concorrente ai suoi progetti. Ma per il momento Nonna Fiorina rimandò il problema: si era nel '34. Di lì a poco sarebbe scoppiata la Bufera.

 

Tralascio di raccontare qui le sorti alterne della Tribù durante il periodo della Guerra: sono raccontate altrove. Dirò solo che la famiglia si salvò al completo e che il negozio riaperse i battenti non appena gli Americani liberarono la Città Eterna.

 

Il Dopoguerra

 

Le gesta di Nonna Fiorina riprendono nell'immediato dopoguerra. Il problema da affrontare: la proprietà del negozio. Nonostante che Nonna Fiorina avesse già acquistato, con i guadagni dell'azienda, vari immobili, il negozio era solo in affitto. Ne era proprietaria una grossa società immobiliare, che possedeva e gestiva anche i Grandi Magazzini MAS adiacenti. Il magnate che possedeva il maggior pacchetto azionario di questa società immobiliare, aveva tentato più volte, già da prima della guerra, di sfrattare i proprietari del negozio, soprattutto per ingrandire i MAS, e perché il negozio faceva una spietata concorrenza al settore cartoleria degli stessi. Nonna Fiorina, inutile dirlo, aveva combattuto sempre da leone, riuscendo, sì, a mantenere il negozio, ma rischiando costantemente lo sfratto.

Nel libro del centenaro dell'azienda, mio Zio Angelo si prende il merito di aver risolto finalmente il problema alla fine degli anni '50, ma io conosco un'altra versione, raccontatami da mio padre solo molti anni dopo. La riporto qui, perché è molto più "consistente" con la figura di Nonna Fiorina. Ma di questa faccenda parleremo tra poco. Nel frattempo...

                     

... Nel '45 nonna fu impegnatissima a riguadagnare il tempo perduto durante la guerra: da un lato a rimettere in piedi il negozio e ad allargare l'azienda, dall'altro "sistemare" i progetti familiari, lasciati in sospeso.

Zio Angelo, l'erede, era ormai giunto in età. Nonna si dedicò con impegno ad insegnargli il mestiere di dirigente, innanzi tutto affidandogli il settore delle vendite all'ingrosso. Zio, c'è da dirlo, fu un ottimo alunno. Sia per merito personale, sia per l'aiuto concreto ricevuto dalla nonna, continuò a sviluppare l'azienza negli anni a venire: pochi anni più tardi zio ed il settore si trasferirono poco distante. Il magazzino all'ingrosso, col tempo, si trasformò, sotto la sua guida in quell'azienda internazionale che è oggi.

 

Ma, in seno alla Tribù, Nonna Fiorina doveva sistemare un'altra cosa: accasare (ed allontanare dall'azienda) le "ragazze". Riguardo il nipote minore, Zio Gianfranco, ancora un ragazzino, il problema si poteva posporre. Non che nonna avesse bisogno di aiuto, riguardo alle nipoti: Enrica e Silvana le "gemelle", poco più che ventenni, anche loro volevano riguadagnare il tempo perduto, quando, proprio nell'età dell'adolescenza, si erano trovate con i problemi delle Leggi Razziali e delle persecuzioni. Zia Enrica si sposò nel '46 con zio Dario, più anziano di lei di 10 anni. Nonna Fiorina vide certamente "bene" quel matrimonio: il genero gestiva un negozio di merceria, insieme al fratello scapolone, vicino a Piazza Navona. Veniva da una famiglia conosciuta. Un suo zio (o cugino) era stato ufficiale, durante la Grande Guerra in quell'unità dalla quale Nonna Fiorina era andata a riprendersi Nonno Tullio, sulle sponde della Marna...

 

Nel frattempo mia madre aveva incontrato mio padre, anche lui poco più che ventenne, appena reduce dalla Guerra di Liberazione. Mio padre aveva perso tutta la famiglia il 16 Ottobre, salvandosi per miracolo, e viveva provvisoriamente a casa di cugini, lavoricchiando da rappresentante di alimentari. I miei nonni paterni non avevano proprietà, percui, agli occhi di Nonna Fiorina, mio padre era un Nullatenente e, non gestendo almeno un negozio, un Nullafacente. D'altronde la cosa era di poca importaza: anche la nipote era stata un "bastian contrario" in giovinezza. Che si sposassero e che si guadagnassero da vivere: lei, Nonna Fiorina, aveva pronta la dote per le due ragazze: un grande appartamento al Corso Italia, che le ragazze avrebbero dovuto affittare e gestire insieme: Nonna Fiorina considerava le due nipoti come una sola persona, anche in questo, continuando ad ignorare completamente che avevano, tra l'altro un carattere completamente diverso.

 

Mio padre, lui stesso senza arte né parte, aveva un lontano cugino (od un buon amico) che possedeva un piccolo pacchetto azionario della società immobiliare proprietaria del negozio. Questo cugino, venuto a sapere del fidanzamento dei miei genitori (comunicato al matrimonio di mia zia – perchè spendere soldi per due feste? - Nonna fiorina prese due piccioni con una fava), propose a mio padre di acquistare il pacchetto azionario, che gli avrebbe permesso anche di mettere un piede  nelle sorti dell'azienda della futura moglie. Mio padre, naturalmente, i soldi per comprare le azioni, non ce li aveva, ma raccontò la cosa in famiglia. Nonna Fiorina, naturalmente, prese la palla al balzo:

 

Diede i soldi necessari a mio padre, che, comprate le azioni dal parente, le passò immediatamente a Nonna Fiorina, la quale le distribuì equamente tra i membri maggiorenni della Tribù, mettendole a nome di Nonno Tullio, Nonna Renata e Zio Angelo. Nel frattempo diede istruzioni a mio padre, perche facesse sapere al magnate, proprietario del pacchetto maggioritario della società immobiliare, che era interessato a venderle. Il magnate, naturalmente fu interessatissimo a venire in possesso del pacchetto azionario, che gli avrebbe finalmente permesso di avere l'assoluto controllo della società immobiliare e, chissà, finalmente anche la possibilità di sfrattare i proprietari del negozio. Nonna Fiorina istruì mio padre a fare un po' di tira-e-molla, come per alzare il prezzo. Il magnate, per convincere mio padre definitivamente, offrì un prezzo di molto superiore al valore reale. Mio padre fece capire di accettare, ma chiese (secondo le istruzioni di Nonna Fiorina) di concludere l'affare in seno alla riunione dei soci – per controllare il  valore reale delle azioni, ecc. - . La richiesta era accettabile, e naturalmente fu accolta.

Ma quando giunse il momento della riunione, il magnate si trovò di fronte, non il soldatino ventenne inesperto, ma i quattro Di Veroli, ognuno di loro con un pacchetto azionaro ed... il diritto di voto nelle riunioni amministrative della società immobiliare.

 

Il magnate capì subito di essere stato messo nel sacco, e disse malinconicamente a nonna: "O.K., hai vinto. Cosa vuoi?"

Al che Nonna Fiorina, sbattendo un pugno sul tavolo, rispose  trionfalmente: "IL NEGOZIO !!!". 

Le mura del negozio furono finalmente acquistate al loro prezzo e, da quel momento, la minaccia di sfratto fu scongiurata definitivamente.

 

Molti anni dopo, dopo la morte di Nonna Fiorina, quando mio padre ebbe dei contrasti con il resto dei parenti, si rammaricò di non aver accettato l'offerta di quel magnate: restituiti i soldi a Nonna Fiorina, ce ne sarebbero stati a sufficienza per comprarsi una casa. Quello che seccava mio padre, a scoppio ritardato, è il fatto che Nonna Fiorina non gli avesse lasciato in mano nemmeno un'azione, tanto per fare presenza a quella famosa riunione. Ma Nonna Fiorina non poteva ancora fidarsi del futuro marito della nipote. E in ogni caso non gli avrebbe mai permesso di diventare proprietario dell'aziena, nemmeno per un po'. Usarlo per i suoi fini, era un discorso, accettarlo come socio, un altro. Comunque mio padre si illudeva: sono sicuro che Nonna Fiorina, se lui avesse tentato di fare il colpaciuo, avrebbe immediatamente annusato  la cosa.

 

Dal mio egoistico punto di vista, è meglio che le cose siano andate così: forse mio padre sarebbe diventato proprietario di una casa, ma... il matrimonio tra i miei genitori sarebbe andato a monte, e voi... non stareste qui, a leggere la Storia della Tribù!

 

Nel '47, dopo una prima gravidanza finita male di un maschio, nacque la prima pronipote, mia cugina Michela, che oggi è nonna di dieci nipoti. Poi, nel Novembre del '49, mia cugina Rosella. Pare che zio Dario, che in queste cose la pensava come Nonna Fiorina, fu estremamente insoddisfatto della cosa, al punto di "rifiutare" per un po' la sua secondogenita. Mia cugina risentì di questo "rifiuto" per tutta la vita. Ma di queste cose parleremo semmai altrove, dopo esserci consultati con lei. Nonna Fiorina, come vedremo, ebbe ancora da dire la sua dopo la nascita dell'agognato maschio Di Cori, il mio... cuginetto Fabio.

 

Nel frattempo, nel Marzo del '49, si sposarono i miei genitori. La cerimonia fu una replica del matrimonio degli zii, abito da sposa di mia madre compreso, che fu quello della sorella maggiore, riciclato. Nonna Fiorina, vista l'impossibilità di mio padre a provvedere una casa, concesse alla nuova coppia di insediarsi nella "Casa per le Vacanze" di Ostia, a condizione che la stessa avesse continuato a mantenere le sue funzioni nei mesi estivi. Fu così che, a partire dall'estate del '49, quando le due sorelle erano entrambe incinte, gli sposetti novelli dovettero sopportare "l'invasione" dei cognati e della piccola Michela. Questo "arrangiamento" continuò per diversi anni, almeno fino al '54, giacché me lo ricordo perfettamente anche io. Superfluo parlare della tensione estiva, prodotta dal caratterino delle sorelle, da quello tanto diverso dei due cognati e dalla selva di noi quattro (o cinque) cugini...

L' "accampamento" estivo si concluse, alla fine, credo, dopo un fiero battibecco tra mio padre ed il cognato, battibecco che fece seguito ad un maldestro colpo di pallone, tirato in casa da uno dei miei cugini, che mandò in frantumi una campana di vetro del lampadario. Per mio padre non si era trattato di un "piccolo incidente": quel lampadario era uno dei pochissimi ricordi che mio padre era riuscito a salvare della casa della sua famiglia distrutta dalla guerra. Era un cimelio, un ricordo di persone amate che non c'erano più...

 

Anche Nonna Fiorina capì che certe sue imposizioni  avevano un limite. L' "accampamento" finì, ma non finirono i "conti". Questa che i miei genitori si erano insediati nella "Casa per le Vacanze" gli altri membri della Tribù non la mandarono mai giù.

 

Era giunto per Nonna Fiorina il momento di "occuparsi" del "terzo incomodo": mio zio Gianfranco. Per evitare che si facesse venire delle velleità da "dirigente", imparando l'arte che lei stava insegnando con tanto zelo al fratello maggiore, lo spedì, ancora giovinetto, a "guadagnarsi il pane", facendolo assumere da una cartiera, lontano da Roma e dalle sorti dell'azienda. Mio zio non perdonò mai alla nonna questa imposizione: invece di assumere delle responsabilità in seno al negozio, si ritovò a fare un lavoro umile, lontano da casa, dagli amici e dalla famiglia. Poco dopo venne chiamato alle armi e, da bravo sportivo, decise, per la prima volta nella vita di sua volontà, di servire nei Bersaglieri, fiero di servire la Patria.

 

Il fratello maggiore non aveva fatto la naja. Quando era toccato a lui si era nell'immediato dopoguerra. Zio Angelo era studente: pur prediligendo gli studi di filosofia, andò a studiare economia e Commercio, per aquisire le nozioni necessarie a dirigere l'azienda, con sicura soddisfazione di Nonna Fiorina. Zio lavorava di giorno e studiava la notte, fino a quando gli impegni del lavoro non gli consentirono più di proseguire gli studi, e li interruppe a pochi esami dalla laura. Comunque ebbe modo di mettere in pratica quello che aveva imparato sia da Nonna Fiorina, sia all'Università.

 

Forse Nonna Fiorina fece diverse cose che oggi fanno alzare un sopracciglio. Ma non stiamo a giudicare con gli occhi di persone nate e cresciute in un'altra epoca, dove l'eguaglianza dei sessi è sacra e l'eguaglianza tra eredi è legge. Nonna Fiorina forse calpestò qualcuno per strada, ma lo fece sempre con  vero spirito machiavellico: il Fine giustifica i Mezzi. E il Fine, per mia bisnonna, è sempre stato chiaro, fisso e, ai suoi occhi, giusto. Chi siamo noi, per poter giudicare? Lasciamo il compito a Quello di Lassù.

 

Eccovi un esempio di un'altra "impresa" di nonna: dopo averla letta, sarete d'accordo con me che questa volta il Fine era buono, anche ai vostri occhi.

Il fatto mi è stato raccontato di persona da Zia Enrica pochi mesi prima di scrivere queste righe.

 

Come abbiamo già detto, anche Zio Dario era di quelli che credeva al "maschio". Il fatto di avere due figlie femmine non gli andava proprio giù. Ma Zia Enrica aveva già avuto tre gravidanze difficili. Nel'54 ne ebbe, probabilmente controvoglia, un'altra, anch'essa non facile affatto. Volle il cielo che questa volta si concluse felicemente con la nascita di un maschio, mio cugino Fabio. Ma lo sforzo fatto per "accontentare" Zio Dario causò a Zia Enrica la depressione post-partum. Nei giorni che seguirono la nascita, zia non si curò di accudire il neonato e non si curò delle bambine. Rimase a letto a dormire o senza la minima intenzione di alzarsi. Zio Dario, girava per casa come un leone in gabbia, non sapeva che pesci pigliare e si sentiva perduto. Il piccolo Fabio era in pericolo. Le bambine erano abbandonate a se stesse. Ed i medici cosa facevano? I medici dissero laconicamente che non ci potevano fare niente: erano cose che potevano succedere. Nessuno sapeva dire se e quando zia sarebbe uscita fuori dalla depressione. La cosa spaventò  tutti. Tutti... meno... Nonna Fiorina: lei ne aveva già viste  di peggio.

 

Nonna Fiorina, benché quasi ottantenne, prese in mano la situazione: una bella mattina arrivò a casa degli zii, insieme a Nonna Renata. Ordinò perentoriamente a Zio Dario di uscire di casa e di andare ad aprire il negozio. Lì a casa era inutile. Il negozio, invece, andava aperto: non era né giorno di lutto, né domenica, né Yom Kippur.

Quando le tre donne furono sole, ordinò a Nonna Renata di tirare fuori la figlia dal letto con la forza, e di vestirla. Scesero le scale, dove le apettava una "carrozzella". Girarono per Roma, come nella canzone di Renato Rascel. Nonna Fiorina mostrò a Zia Enrica tutti i luoghi della sua giovinezza, ricordandole le mille cose belle che le erano accadute da trent'anni in qua. Poi, come per caso, dopo un ultimo giro a Piazza Navona, la carrozzella si fermò davanti al negozio di Zio Dario. Nonna Fiorina fece scendere la nipote e disse perentoriamente a zio: "Portati tua moglie a casa: c'è un bambino che aspetta le sue cure!". La carrozzella ripartì con le sole nonna Renata e Nonna Fiorina.

 

Inutile dire che la cura funzionò. Come tutte le "Cure della Nonna", d'altro canto...

 

Fin qui Nonna Fiorina come me l'hanno "raccontata" o come me la sono voluta immaginare.

 

Gli Ultimi Anni

 

Ora arriviamo agli anni '60, gli ultimi dieci di nonna. Qui, finalmente posso descrivere Nonna Fiorina, come l'ho conosciuta personalmente.

Essendo nonna nata attorno al 1876, i miei ricordi personali risalgono al tempo in cui lei aveva già circa 80 anni. Me la ricordo piena di rughe, camminare sul suo bastone per casa e, principalmente, seduta alla cassa del negozio, dove continuò indefessa il suo lavoro per alcuni anni ancora, coadiuvata da una cassiera stipendiata. Questa cassiera cambiò varie volte, segno che Nonna Fiorina prima o poi trovava qualcosa da ridire sul suo lavoro. Ebbi modo di osservare nonna attentamente, specie durante le vacanze di Natale, quando ero già grandicello, quando andavo ad "aiutare" i nonni. In quel periodo dell'anno, il negozio apriva una bancarella di fronte al negozio, sotto i portici di Piazza Vittorio, con tutti gli accessori per l'albero di Natale: mi divertivo un mondo a vendere palle di vetro multicolori, pastorelle ed angioletti per il presepe e festoni di carta colorata di tutte le dimensioni.

Dopo che io avevo impacchettato l'acquisto, il cliente andava a pagare alla cassa. A volte doveva fare addirittura la fila. Lì, con un gesto automatico, ma trapelante un senso di trionfo, Nonna Fiorina timbrava lo scontrino con il PAGATO, mentre la cassa mandava il noto squillo di campanella.

 

Con il passare degli anni, Nonna Fiorina stette alla cassa sempre meno. Camminava a stento, sempre più curva sul suo bastone, prima ancora indipendente, poi aiutata dalla cassiera o dal fido Nino, il "factotum" del negozio, che era anche il portiere del palazzo dove abitavano i nonni, nonché l'autista di famiglia. Di Nino parleremo altrove, a proposito della "servitù":

Voglio ora parlare di due ultimi ricordi: le "mentine" e le "500 lire".

Da bambini, quando noi pronipoti andavamo a fare visita al negozio ed a porgere gli ossequi a Nonna Fiorina, lei ci accoglieva sempre seduta sulla sua sedia, posta su piano rialzato della cassa. Ci scrutava dall'alto, come per misurarci e decidere quale dei molti pronipoti promettessesse un buon futuro. Senza dircelo espressamente, ci scrutava e ci studiava. E, chissà, cercava di insegnarci qualcosa: prima di tutto a comprendere il valore delle cose. Anche di quelle piccole.

Credo che Nonna Fiorina fu l'unica persona che cercò di insegnarmi che esistono cose "speciali" e "preziose", a prescindere dal loro valore reale: le "mentine", per esempio.

 

Nonna Fiorina aveva sempre con sé una bustina di piccole caramelle alla menta, di forma quadrata, che comprava in un "posto speciale". Non le ho mai viste altrove. Quando andavo da lei, non osavo mai chiedergliele (a Nonna Fiorina non si chiede!), ma lei me ne dava sempre un po'. La cerimonia era sempre la stessa: le tirava fuori lentamente dal sacchetto e le contava una per una, mai più di dieci. Credo che tutta questa cerimonia le rendeva le più saporite di tutte le caramelle alla menta del mondo. Sono le cose rare, quelle che valgono di più.

 

Durante gli anni '60, nel periodo del "boom", la zecca coniò delle bellissime monete d'argento da 500 lire. Per qualche anno furono usate come moneta corrente, poi, con l'aumento dell'inflazione sparirono dalla circolazione. Oggi, pur non valendo molto dal punto di vista strettamente numismatico, sono introvabili.

Nonna Fiorina aveva l'abitutine di mettere sempre da parte quelle bellissime monete di un colore bianchissimo. Quando un pronipote compiva gli anni, Nonna Fiorina gli regalava 1000 lire, sempre in due di quelle belle monete d'argento, con la raccomandazione di non spenderle, ma di "Metterle da parte". Raccomandazione inutile, perché noi le usavamo subito per comprarci qualche bel giocattolo. Allora 1000 lire, per noi bambini, non erano poche. Dagli altri parenti ricevevamo sempre solo dei regaletti. Avere una sommetta tutta per noi era un'altra rarità che conoscemmo solo grazie a Nonna Fiorina.

 

Comunque nonna, ormai molto anziana, non si dedicò a decidere la sorte di noi pronipoti. Sempre più curva negli anni, ebbe ancora la fortuna di veder nascere la generazione successiva dei dirigenti dell'azienda, i miei cugini Stefano ed Anna. Zio angelo, infatti si era sposato nel 1962. Qualche anno prima, a dire il vero, si era finanzato ufficialmente, come si usava allora, e presumo con la benedizione della nonna, con una simpatica ragazza di famiglia ebrea molto benestante, senonché pare che la madre della fidanzata fosse un tipo  "alla Nonna Fiorina" e Zio Angelo, capito con che famiglia stava per imparentarsi, decise altrimenti e ruppe il fidanzamento. O, almeno non fece molto per mantenerlo sano. Poi, nel '59 incontrò finalmente la bellissima  Laura Schaerf, dal carattere gentile e sorridente, che, appena arrivata sulla scena, fece innamorare perdutamente non solo Zio Angelo, ma tutta la Tribù, di un amore che persiste immutato ancora oggi, dopo quasi cinquant'anni,  al momento di scrivere queste righe.

 

All'età di quasi novant'anni, Nonna Fiorina, curva più che mai, smise definitivamente di andare al negozio. Per un po' girò ancora per casa, aiutata da una domestica o da Nonna Renata, poi si ridusse costantemente a letto, la schiena ricurva sorretta da grandi cuscini.

 

L'ultima volta che sentii la sua voce, debole ma ancora perentoria, fu quando chiamò più volte invano il nome del figlio, appena deceduto. Sono sicuro che Nonna Fiorina lo capì perfettamente...

 

... E così decise che era giunto il momento di lasciare il palcoscenico alle generazioni future. Magari per andare a rimproverare il figlio, che se era andato prima di lei, senza aspettarla.

 

Non vidi Nonna Fiorina sul letto di morte, ma al funerale sentii qualcuno meravigliarsi, perché la schiena di nonna si era completamente raddrizzata in punto di morte.

 

Nonna Fiorina , in vita sua, non aveva mai lasciato nulla al caso:

 

Si raddrizzò per incontrare il Padreterno, per la prima volta di persona. E volle incontrarLo così, come Lui l'aveva sempre conosciuta, durante i suoi novant'anni e passa di vita:

la

 

  Fiera, Indefessa, Onnipresente, Regale, Indomita,

Nonna FiorinA

 

 

Il Carattere Genetico

 

È giunto il momento di confutare una leggenda. Sono sicuro che diversi componenti della Tribù non saranno d'accordo con la mia teoria, ma... chissenefrega! Gli scrittori di... biografie hanno il vantaggio di poter dire la propria, senza poter essere contraddetti!

 

Come abbiamo visto finora, i tre nonni, Renata, Tullio e Fiorina, avevano un carattere completamente diverso tra di loro. Nella Tribù è sempre circolata la leggenda che i quattro figli Di Veroli avessero, ognuno di essi, preso il carattere dei genitori o della nonna.

 

La primogenita Enrica prese un po' da tutti e tre: Lo spirito di avventura da Nonno Tullio, una certa testardaggine da Nonna Fiorina ed il modo di fare affabile da Nonna Renata.

 

Zio Gianfranco fu una "copia" Di Nonno Tullio, in tutto e per tutto, a partire dallo "spirito scautistico", dall'amore per lo sport, eccetra.

Su questi due zii sono d'accordo con la leggenda.

 

Ma quando si arriva a Zio Angelo ed a mia madre, la leggenda narra che Zio fu la "copia" di Nonna Fiorina, mentre, forse per macanza di candidati, a mia madre fu "assegnato" il carattere di Nonna Renata.

 

Restando attaccati agli "sviluppi storici" dell'azienda, è facile capire come a Zio Angelo sia stato "assegnato", in Tribù, il carattere di Nonna Fiorina:

Zio ebbe senza dubbio il finissimo spirito commerciale della nonna. Da lei sicuramente ereditò quelle capacità che lo portarono a sviluppare l'azienda proprio secondo i sogni della stessa.

 

Anche riguardo a mia madre si potrebbe dire, come per  Nonna Renata, che non fu mai realmente padrona della propria vita e che furono un po' gli altri a decidere per lei.

 

I fatti storici sembrano dar ragione alla leggenda... Forse... ma...

 

Ma io non mi riferisco a "quello che è successo" nella loro vita. Mi riferisco al carattere di base. Quello ricevuto per via genetica, non quello che è venuto fuori per imposizione di Nonna Fiorina, per le vicende della guerra e per le altre influenze esterne. Io parlo del Carattere Genetico, quello che sarebbe venuto fuori di loro, se i fatti della vita li avessero portati altrove.

 

E qui, in visione retrospettiva, ho fatto un scoperta interessante: riguardo a Zio Angelo ed a mia madre... è tutto il contrario!

 

Fu Zio Angelo ad ereditare (geneticamente) il carattere di Nonna Renata e, se qualcuno lo prese da Nonna Fiorina, semmai, quella è stata, almeno in parte, proprio mia madre.

 

Zio Angelo, lo sappiamo, era stato designato da Nonna Fiorina a diventare l'erede dell'azienda. Il suo destino fu decretato ancora prima che nascesse.

Da bambino fu fatto crescere come "l'erede al trono". Le uniche informazioni che ho sulla sua giovinezza sono, ovviamente, quei pochi aneddoti raccontati da mia madre, uno dei quali è che da bambino si guardava spesso allo specchio, vantandosi di assomigliare al "Re di Roma" (Napoleone II, il figlio di Napoleone I e di Maria Luigia d'Austria). Erano sicuramente vezzi da bambino "viziato", visti ironicamente dalle sorelle "maggiori", ma questo ci dice come fin da piccolo, zio Angelo fu educato ad autoconsiderarsi "l'erede al trono". Considerando che zio è nato nel 1927, e che le leggi razziali vennero fuori quando lui aveva solo 12 anni, la sua adolescenza, dal principio alla fine, avvenne in un periodo in cui non ebbe mai modo di dire la sua né di agire secondo le spinte del suo vero carattere. A casa Nonna Fiorina e fuori casa... Mussolini, decisero per lui. Sarebbe diventato qualcos'altro, se la Storia glielo avesse concesso? Credo di sì. Il modo di fare e di parlare di Zio Angelo è stato molto diverso da quello di Nonna Fiorina. Zio parlava lentamente, soppesando ogni parola, in modo estremamente affabile, quasi effeminato, oserei dire. In ogni suo discorso è sempre trapelato il tono di uno che si discolpa eternamente, anche, e soprattutto, se è "costretto" a fare qualcosa che il suo prossimo probabilmente non gradirà affatto. Durante le diatribe ereditarie, quando zio ed i miei ebbero dei seri contrasti, anche di opinione (lo so solo per sentito dire, giacché io non ero più in casa), sentii definire il suo modo di fare come quello di uno che "getta il sasso e nasconde la mano". Non voglio giudicare i fatti. Ma la cosa  sembra consistente con un carattere di base, nel quale zio, ligio al dovere di "dover conservare il regno" contro chi lo avrebbe irrimediabilmente mandato in malora, si dedicò con impegno a portare a termine il compito affidatogli, ancor prima di nascere, dalla nonna. E se la filosofia della nonna imponeva che il fine giustifica i mezzi, bisogna usare i mezzi migliori. Questo non toglie che bisogna parimenti scusarsi col "nemico", dovo averlo battuto.  Almeno in questo, zio prese sicuramente da Nonna Renata. è vero che, a differenza della madre, lui aveva cominciato la vita da benestante e con tutte le carte in regola per arrivare lontano, ma, sotto un certo punto di vista, il suo carattere lo spinse da un lato ad essere diligente fino al perfezionismo, dall'altro gli lasciò quella eterna malinconia di essere sempre "costretto" a fare le cose in modo differente da quello che il suo interiore gli avrebbe suggerito.

Chissà? Forse è tutta una mia fantasia, E non saprò mai la verità, ma mi piacerebbe immaginare uno Zio Angelo scrittore, poeta, o chissà che altro. Ma da piccolo, invece di essere "coccolato" dalla mamma, fu "responsabilizzato" dalla nonna. A sedici anni fu costretto a rifugiarsi in convento, invece di correre felice per i prati. Ed a 18 anni fu "costretto" a prendere le funzioni ufficiali del "Principe di Galles", o, se vogliamo... del Re di Roma...

 

Mia madre, al contrario del fratello minore, fu, a quanto pare, un "Bastian contrario". Naturalmente quel poco che so del periodo della sua infanzia, non l'ho mai saputo da lei in persona. Ci mancherebbe altro! Ma credo di averlo capito da qualche racconto frammentario raccimolato soprattutto da mia zia. Purtoppo è troppo poco per ricostruire l'infanzia di mia madre.

Ho già accennato come le due sorelle, pur essendo quasi coetanee, avevano un carattere decisamente differente. Mia zia, probabilmente per essere la "maggiore" venne responsabilizzata di più, mentre mia madre fu fatta crescere un po da "selvaggia": senza responsabilità da prendere, senza che qualcuno si interessasse veramente dei suoi studi. Il fatto che a casa, da ragazzina, aveva una domestica che cucinava, puliva ecc., e che lei mancò di "disposizione naturale" per queste cose, non ne fece né una buona cuoca, né un donna capace di tenere una casa ordinata. Certamente non ereditò queste due qualità dalla madre. Parlando delle qualità "commerciali", mia madre non ebbe mai la possibilità di svilupparle. Ho la sensazione che il potenziale c'era, e questo lo dico, perché ho notato che, quando si tratta di curare le sue cose economiche, lei ha le idee molto chiare per quello che la riguarda. Potendolo, non permette agli altri di "consigliarla", in fatto di economia. Se il suo istinto le dice che una cosa non le conviene, non c'è santi che tengano. Ma l'istinto non basta. Per diventare una donna d'affari, avrebbe dovuto anche imparare il mestiere. Mestiere che non solo non le fu mai insegnato, ma il cui apprendimento fu addirittura abortito da Nonna Fiorina. Oso pensare addirittura che, in mancanza di un nipote maschio, mia nonna avrebbe forse preso in considerazione lei come "erede al trono dell'azienda"... ma invece, o forse proprio per evitare che la cosa succedesse, Nonna Fiorina si dedicò ad abortire qualsiasi velleità, innanzi tutto "gemellando" mia madre con la sorella, trasformando le due sorelle in un'identità unica. Mia zia e mia madre furono, in giovinezza due "gemelle siamesi" per forza, dal vestito dell'infanzia (vedi foto) a quello da sposa. Il periodo della guerra (15 - 21 anni) contribuì solo a ritardare l'operazione di separazione delle "gemelle siamesi". Nonostante gli ultimi sforzi di Nonna Fiorina (vedi storia della casa delle vacanze). Appena poté, mia madre decise che aveva condiviso fin troppo con la sorella: per suo volere l'appartamento di Corso Italia, di proprietà in comune (e di ottimo valore economico) fu venduto, per comprae con il ricavato due appartamentini separati, uno per sorella. Peccato, perché il valore di quello originale era senza dubbio maggiore dei due insieme.

Questa storia potrebbe insegnare che mia madre non avesse preso affatto l'istinto commerciale della nonna. Ma la testardaggine... sì. Quella volontà di "fare di testa sua" a tutti i costi, contro tutto e tutti. Anche contro la logica economica. L'essenziale: rivendicare la sua individualità "castrata" per vent'anni e passa. Alla faccia della nonna!

Mia madre, a differenza della sorella (basta vedere le fotografie) era una bella ragazza. Occhi azzurri e capelli corvini, lisci e lunghi (però arricciati a "permanente" come andava ai suoi tempi). Proprio come una diva degli schermi, anni '40. Arrivata in età, si sposò con il più bel ragazzo del "quartiere", somigliante pure lui ad un attore cinematografico dell'epoca. Che i miei genitori fossero "la coppia più bella del mondo" dell'immediato dopoguerra, non c'è dubbio. Che fossero solo una bella coppia, senza arte né parte (agli occhi di Nonna Fiorina e dei "negozianti" ebrei dell'epoca), pure. Ma sono i miei genitori. Chi sono io, per criticare. Li ringrazio per avermi... fatto!