La
Tribù
Preambolo
Mio
nipote Davide fa parte degli Scouts. Tempo fa mi venne in mente di raccontargli
alcuni aneddoti di due suoi "antenati", il suo bisnonno ed un suo
pro-zio, che lo avevano preceduto in questa attività. Per rendere la lettura
meno monotona, pensai di aggiungere qualche vecchia fotografia d'epoca,
ripescata in un libro di memorie. Guardando le foto, vennero fuori altri
personaggi, tutti appartenenti alla famiglia Di Veroli, quella di mia madre.
Continuai a cercare qua e là altri aneddoti, parte ripescati nella memoria
della mia infanzia, parte raccontati da altri. Piano piano mi sono lasciato
prendere la mano... e ne è venuta fuori questa storia, che narra alcune vicende
di tre generazioni della... Tribù.
Io
sono un membro della quarta generazione, e la maggior parte di quello che
troverete scritto nelle prossime pagine è basato su fonti indirette,
riesaminate dopo tanti anni. I pochi ricordi personali si sono fermati a più di
trent'anni fa, quando lasciai casa.
Quindi,
questo racconto, più che assomigliare ad una biografia, assomiglia ad un bel
pezzo di... Formaggio Svizzero, con poca sostanza e... buchi grandi... COSì.
I
membri della terza generazione vanno scomparendo. Quelli della quarta hanno
ricordi diversi da quelli miei. Invito la quinta e la sesta generazione a farsi
raccontare dagli altri quello che manca in questa storia, prima che sia troppo
tardi. Sono sicuro che gli altri "vecchi" della Tribù saranno in
grado di aggiungere un po' di sostanza al nostro... formaggio. E che cerchino
pure di usare la loro immaginazione: lo sanno tutti che la parte più saporita
del Formaggio Svizzero sono... i buchi!
Nonno
Tullio
Quando il timido
sole, uscito tra le nuvole di quel tardo mattino di Gennaio, riscaldò i corpi
intirizziti dei sei capi "scout" diciottenni, ai lati del feretro,
tutti videro Nonno Tullio allargare uno dei suoi famosi sorrisi, da sotto il
cappello alla Baden-Powell, poggiato sulla bara. Girato l'angolo, il corteo
funebre si fermò davanti alla cartoleria, mentre tutti i passanti si levavano
il cappello in segno di rispetto per il "Sor Tullio". Infine, i familiari
salirono sulle macchine alla volta del Verano.
Se
n'era andato due giorni prima, proprio alla vigilia della Befana, di attacco
cardiaco, poco dopo aver messo in bell'ordine nello "studio" i regali
per i nipoti, come Babbo Natale. La "Befana" di quel 1969 fu,
naturalmente rimandata di una settimana, dopo la quale Nonna Renata ci consegnò
i regali. Il posto era lo stesso, ma l'allegria se n'era andata per sempre con
Nonno Tullio. Lo capimmo tutti, noi nipoti: da allora in poi la
"Tribù" non sarebbe stata più la stessa. Nonno Tullio fu un gran
dritto ad andarsene per primo. Sua madre, Nonna Fiorina, lo seguì pochi mesi
dopo, mentre Nonna Renata si spense in cinque anni, piano piano, facendo del
suo meglio per non disturbare nessuno, come sempre. Di lì a poco, i figli di
Nonno Tullio cominciarono a litigare per le solite questioni ereditarie,
ignorando completamente il desiderio dei nipoti di continuare la tradizione
della tribù.
Nonno Tullio era
figlio unico. Era nato, se non erro, il 16 Luglio del 1897, da Angelo e,
naturalmente, da Nonna Fiorina.
Quando
lui aveva tre anni, i genitori aprirono un negozio di cartoleria sotto i
portici di Piazza Vittorio. Nel 1914 Angelo entrò in ospedale per una
operazione minore, e non ne uscì. Pare che allo scoppio della Grande Guerra
Nonno Tullio, allora diciottenne, fosse richiamato, nonostante fosse figlio
unico di madre vedova, e fece il servizio nel Genio. Questo è almeno quanto è
stato scritto in un libro di memorie di famiglia. Ma a me è nota una versione
diversa, secondo la quale Nonno Tullio sarebbe scappato di casa ancora prima
che l'Italia entrasse in guerra, per andare a combattere sul fronte francese,
insieme ad una unità di volontari italiani. Pare che Nonna Fiorina,
visibilmente insoddisfatta della cosa, se lo sia andata a predere, per
riportarselo a casa con la forza. Comunque siano andate le cose, fatto sta che
Nonno Tullio si salvò dalla Grande Guerra. Nonna Fiorina, la mia bisnonna, se
non l'avete capito finora, era una donna che sapeva farsi obbedire. Io l'ho
conosciuta già anziana, quando alla
cassa della cartoleria, dava ordini ai commessi e riceveva gli ossequi di tutti
i commercianti di Piazza Vittorio. Ma di lei parleremo altrove. Diremo solo
che, anche se Nonno Tullio era il Capo Tribù, la vera Matrona era lei, Nonna
Fiorina.
Poco dopo la
guerra, nel '22, quando aveva 25 anni, Nonno Tullio si sposò con Renata Mieli,
che allora ne aveva 19. Credo che il matrimonio fosse stato una cosa combinata dalle
famiglie, come forse usava allora, anche perché Nonna Renata era nata e viveva
ad Anagni, un piccolo paesino in provincia di Frosinone. Non so per quali
ragioni la famiglia Mieli fosse arrivata laggiù, e poco importa. Come anche in
altri aneddoti sui nonni, esiste anche un'altra versione, secondo la quale Nonna
Renata non si sposò affatto con un matrimonio di contratto: anzi pare che Nonno
Tullio si fosse incapricciato di lei a dispetto del contratto che Nonna Fiorina
voleva stipulare con una famiglia facoltosa: Nonna Fiorina, infatti, aveva
messo un annuncio di matrimonio per Nonno, nel quale era specificato che la
sposa sarebbe dovuta essere solo una persona colta e benestante.
Ma Nonno Tullio, a sua insaputa,
aveva già scelto diversamente e quindi, trovandosi con una situazione
pregressa Nonna Fiorina si dovette… accontentare.
Comunque
siano andate le cose, a partire dal matrimonio, Nonna Renata andò ad abitare
nella casa di via Pellegrino Rossi 14 che,
per tutta la tribù, rimarrà sempre "la casa di Nonna Renata".
La realtà, però, era un'altra: chi comandava era Nonna Fiorina. Nonna Renata
rimase sempre, agli occhi della suocera, solo una persona chiamata a continuare
la stirpe e ad "organizzare" Nonno Tullio. La scelta di Nonna Fiorina
era stata ben fatta: Nonna Renata adempì i due compiti alla perfezione, senza mai protestare, almeno
in pubblico. Io, personalmente, non l'ho mai sentita discutere né tantomeno
alzare la voce. Solo molti anni dopo seppi la verità da lei stessa. Nonna
Fiorina se n'era andata il 20 Agosto, dieci giorni prima di diventare
trisnonna. Io, che avevo in programma un viaggio sentimentale con la complicità
di Zio Franco, il figlio minore di Nonna Renata, dovetti rimandare la cosa,
perché nonna, il giorno dopo il funerale della suocera, decise di cambiare
tutta la disposizione dei (pesantissimi) mobili della casa e di aprire un varco
nel muro che separava la camera da pranzo con quella che era stata fino al
giorno prima la camera da letto di Nonna Fiorina. Zio Franco fu incaricato di
occuparsi della cosa, anche fisicamente, così che, per abbreviare i tempi, gli
detti una mano. Il perché dell'urgenza di tutto questo tran-tran mi fu spiegato
da Nonna Renata stessa: "Devi sapere - mi disse - che quando mi sposai con
Nonno e venni ad abitare qui, Nonna Fiorina ci lasciò la sua vecchia camera,
letto matrimoniale compreso, e lei si fece fare una camera per sé, tutta
nuova...". Nonna Renata, insomma, aveva ingoiato il rospo per
cinquant'anni, e solo ora, che Nonno Tullio non c'era ormai più da qualche
mese, si era potuta levare la soddisfazione di cancellare fisicamente le
imposizioni e la presenza della suocera. Capii perché l'eliminazione della
camera di Nonna Fiorina non poteva aspettare un solo giorno. La ragazza che mi
aspettava su una certa spiaggia della Toscana, mi vide arrivare con quattro
giorni di ritardo sulla data pattuita. Quando alla fine ci ritrovammo, lei era
visibilmente seccata. Spiacente, ma non avevo potuto comunicarglielo: allora
non c'erano ancora i telefonini...
La
Tribù si riuniva al gran completo nella
casa diverse volte all'anno. Il posto non mancava: la porta di ingresso
si apre in un grande atrio dal quale si accede in uno stretto corridoio che lo
circonda da tre lati e nel quale si aprono la stanza da letto con servizi della
servitù, il bagno, la cucina, la sala da pranzo, ed altre quattro camere.
L'appartamento non è così grande come si potrebbe pensare, giacché per molti
anni ci vissero regolarmente otto persone: Nonno Tullio, Nonna Renata, Nonna
Fiorina, i loro quattro figli e la domestica. Due stanze, negli anni,
cambiarono la loro funzione. Una fu occupata inizialmente dai due maschi,
l'altra dalle due femmine. Quando queste si sposarono, alla fine degli anni
quaranta, zio Angelo e zio Franco ne ebbero una ognuno per sé. Poi, quando
anche Angelo lasciò casa, la camera delle ragazze diventò definitivamente
quella di zio Franco, mentre l'altra diventò "Lo Studio" di Nonno. Lo
studio era la camera dei segreti: sempre chiusa a chiave, era zona extraterritoriale
per noi nipoti. Anzi, era zona extraterritoriale per tutti, credo. Nonno Tullio
ci si rifugiava quando non voleva essere disturbato, soprattutto dalla madre.
Quando ero già grandicello, mi permise di entrarci per mostrarmi non so che
"oggetto speciale". Entrando per la prima volta nel Sancta Sanctorum
di Nonno Tullio, scoprii che lo studio non aveva niente a che fare con il resto
della casa. Era arredato con scaffali e scrivania supermoderna in stile
svedese, in netto contrasto con i solidi mobili stile Libety del resto della
casa, scelti sicuramente almeno cinquant'anni prima da Nonna Fiorina. Gli
scaffali e la scrivania erano pieni dei gadgets più moderni che si potevano
trovare sul mercato alla fine degli anni sessanta: lampada a braccio snodabile,
giradischi a puntina con braccio superleggero, registratore, e tutto quello che
si sarebbe potuto trovare nell'ufficio del direttore di qualche azienda
High-Tech americana. Non mi sarei meravigliato se improvvisamente fosse sbucato
fuori dal nulla Sean Connery nelle sembianze di 007.
Nonno
era, in segreto, un patito della tecnologia. Se fosse vivo ora, non mi
sorprenderbbe vederlo seduto nel suo studio a navigare su internet, di fronte
ad uno schermo piatto LCD. Ma forse questa sua passione non era, poi, tanto un
segreto. Nonno Tullio si trovava a suo perfetto agio nel futuro. Peccato che
non abbia fatto a tempo a conoscere il PC. Pochi mesi prima di morire mi
beffeggiò, quando mi vantai della capacità tecnologica della mia generazione,
che ci avrebbe in breve portato sulla luna. "Voi giovani non avete visto
un bel niente! - mi disse - Pensaci: quando io ero bambino, l'automobile era
appena stata inventata, non c'erano ancora gli aerei, della televisione nemmeno
a sognarla, e non c'era ancora nemmeno... la radio!". "Io -
concluse - ho visto veramente il progresso della tecnologia, non voi
giovani!". Accusai il colpo: Nonno Tullio aveva perfettamente
ragione. Si perse per un soffio
l'atterraggio sulla luna, ma almeno fece in tempo a vederne tutti i preparativi.
La
Tribù era composta oltre che dalle persone già citate, dai mariti Zio Dario e
mio padre, da Zia Laura, la moglie di Zio Angelo e da otto cugini, ai quali si
aggiungevano di diritto Sandro e Lucia, figli del fratello di Nonna Renata, Zio
Mario e della moglie. Zio Mario aveva perso la prima moglie e due figli piccoli
durante la guerra e si era risposato agli inizi degli anni cinquanta con Zia
Gianna, una cristiana. Sandro e Lucia avevano la nostra età e partecipavano a
tutte le riunioni della tribù, comprese quelle al Tempio Maggiore e alla cena
che seguiva la rottura del digiuno di Yom Kippur, tenuta, per tradizione, al
ristorante "Scarpone".
Quella
del Yom Kippur era, senza dubbio, la più importante riunione annuale della
tribù. Il climax della stessa era la benedizione dei Coanìm alla fine del
digiuno. Tutti i maschi della tribù si radunavano per la preghiera di Ne'ilà
nell'angolo di destra del Tempio Maggiore. Poco prima della benedizione e del
suono dello shofàr, venivamo raggiunti anche dalle femminucce, Alle quali era
permesso, secondo la tradizione romana, in via tutta speciale, di scendere
dalla galleria, riservata alle donne. Nonno Tullio saliva in piedi su una delle
sedie ed allargava a tenda il suo grande talled, sopra la testa dei due figli maschi
e dei due generi, i quali, a loro volta aprivano a tenda il loro, su noi sei
cugini, ai quali si aggiunsero, negli ultimi anni, Stefano ed Anna, i figli di
Zio Angelo. Accanto a nonno si rizzava Zio Mario, che copriva con il talled
Sandro e Lucia. Io, questo momento solenne, me lo ricordo soprattutto dal
pavimento e da un muro di manti bianchi. Nonno ripeteva a bassa voce la
Benedizione dei Coanìm, con le spalle rivolte all'altare: secondo la
tradizione, infatti è proibito guardare verso i Coanìm, perché in quel momento
Dio Passa sopra il pubblico.
Al
suono dello Shofàr il digiuno finiva e tutta la tribù andava in macchina da
"Scarpone" per la cena. La trattoria "Scarpone" si trova
vicino a Porta S. Pancrazio ed è gestita dalla stessa famiglia da quasi
duecento anni. Il segno di riconoscimento era uno scarpone rotto, disegnato in
neon verde, accanto al nome in corsivo.
Nonno
Tullio, naturalmente, si sedeva a capo tavola, mentre il resto della tribù
sedeva ai lati del lungo tavolino ricoperto con una candida tovaglia, mentre i
cugini più giovani (me compreso, fino a una certa età) scorazzavano nell'ampio
spiazzo ghiaiato o... si nascondavano sotto il tavolino.
Un'altra
occasione in cui ci si riuniva in trattoria era quando Nonno Tullio ci invitava
tutti a pranzo per il suo compleanno, qualche domenica d'Estate. La trattoria
non era mai la stessa, ma era sempre in qualche posto fuori Roma, in genere ai
Castelli. L'unico ricordo sbiadito di una di queste occasioni è quello della
burla fatta da Nonno a Zio Dario, un tipo notoriamente schizzinoso. Nonno
inserì di soppiatto nel bicchiere di vino bianco di Zio Dario un cubetto di
lucite trasparente, nel quale era stato "mummificato" un bel moscone.
Nonno, poi, porse il bicchiere a Zio, con il pretesto di un brindisi alla
salute. Zio vuotò d'un fiato mezzo bicchiere, e poi sia accorse improvvisamente
del moscone. Vi potete immaginare la faccia di Zio e le sonore risate di
Nonno...
Zio
comunque non se la prese troppo a male ed alla fine del pranzo, intonò a squarciagola
insieme a mio padre ed a... Nonno stesso, la solita canzone:
"...
E sempre sia lodato quel fesso che ha pagato!!".
Ma,
per noi ragazzi, la pricipale riunione della Tribù avveniva il 6 Gennaio,
giorno della Befana. Essendo Ebrei, noi cugini non potevamo godere dei regali
di Natale, naturalmente, e siccome Chanukkà non è una festa importante nella
tradizione ebraica romana, i nonni istituirono la tradizione della
"Befana", festa "neutrale", nella quale ogni famiglia
preparava anzitempo dei regali per tutti i bambini delle altre famiglie,
cosicché ognuno di noi riceveva quattro o cinque regali a testa. Ogni famiglia
faceva i regali in base alle sue possibilità economiche, e noi eravamo in
trepida attesa di quelli più belli e costosi, che erano sempre quelli di Nonno
e di Zia Gianna. Ecco perché una settimana dopo la morte di Nonno, Nonna Renata
ci riunì per distribuire quelli che lui aveva preparato con cura, come tutti
gli anni passati. Per l'ultima volta. Peccato.
Zio
Franco
Oggi,
grazie alla televisione a colori, miliardi di persone
"partecipano" alle più
importanti maniferstazioni sportive, ma quel 25 Agosto del 1960, solo poche
decine di migliaia di fortunati ebbero
il privilegio di assistere dagli spalti
dello Stadio Olimpico di Roma, alla cerimonia di apertura della XVII Olimpiade.
Insieme
a mia sorella ed ai miei cugini, io fui uno di quei pochi fortunati. Non sorprenda, quindi, se quella cerimonia
sia rimasta impressa nella mia memoria fino al giorno d'oggi. Allora la
cerimonia di apertura delle Olimpiadi era una cosa molto semplice: senza balli,
musica e luci multicolori. Solo la sfilata delle delegazioni, il giuramento e
la corsa del tedoforo su per la scaletta, per accendere la Fiaccola Olimpica:
La quintessenza dello sport dilettantistico che non esiste più.
Per
me, il rappresentante per antomomasia di questa "quintessenza dello
sport" era l'unico adulto che accompagnava quella la selva di cugini: Zio
Gianfranco, chiamato in breve Zio Franco.
Zio
Franco fu l'ultimogenito di quattro fratelli. Nato sette anni dopo Angelo, fu
dunque il "piccolo" di famiglia. A differenza di quanto ci si
potrebbe aspettare, però, non fu mai un bambino "viziato", anzi...
come vedremo, parlando di Nonna Fiorina, ebbe molto a risentire del fatto di
essere stato, probabilmente, un bambino "sgradito". Zio nacque nel
'34, quindi il periodo delle leggi razziali e della guerra lo passò da bambino
ancora piccolo. Presumo che questo fatto causò non pochi grattacapi in
famiglia, durante il periodo della guerra, ma almeno gli permise di emergere
dalla bufera all'inizio dell'adolescenza.
Estromesso
a forza dalla nonna dagli oneri (e dai profitti) dell'azienda di famiglia, a
favore del fratello maggiore, ebbe tutto il tempo di dedicarsi ad altre attività,
specialmente a quelle sportive. Zio aveva il carattere di Nonno Tullio: da
eterno bambinone. I miei primi ricordi risalgono al periodo che andò militare.
Nei Bersaglieri, perché, come disse lui, in quell'unità "si faceva dello
sport". Avevo allora quatto-cinque anni, e me lo ricordo arrivare in
licenza con il fez rosso in testa, con il pon-pon blu ricadente sulle spalle o,
ancora meglio, con il classico cappello nero da alta uniforme, con le penne al
vento, messo, naturalmente, "sulle 23", come si addice ad un vero
bersagliere.
E
forse è proprio questo il miglior modo di ricordare Zio Franco: ascoltando il
"Flik-Flok"....
(clicca il link e, dopo l'ascolto, torna al
testo. Si cosiglia vivamente di ... abbassare il volume)
http://www.fanfaralamarmora.it/musiche/FlickFlock.mp3
Per
noi "nipotini" zio Franco fu proprio quello che ci si aspetta da uno
zio: sempre gioviale, allegro e soprattutto... pronto a giocare.
I
ricordi, dopo così tanti anni, si accavallano nella memoria, e non sono più in
grado di dire quali furono i più remoti, quali i più recenti, ma, in fondo,
cosa importa? Uno zio giocherellone è sempre uno zio giocherellone, a
prescindere dell'età del nipote.
Zio
Franco era un vero sportivo. E da vero sportivo si dedicò più di uno sport
contemporaneamente. Uno di questi fu la scherma: il fioretto, per la
precisione. Zio abitava ancora nella casa di nonna, tanto è vero che mi ricordo
come l'ampio atrio dell'ingresso diventava la pedana del duello all'arma
bianca. Zio mi vestiva con il giubbotto imbottito e con la maschera, poi mi
spiegava tutte le varie pose di saluto, di "pronti al duello", di
"affondi" e di "parate". Infine ci scambiavamo alcune
stoccate di fioretto. Le armi erano naturalmete attrezzate di un vistoso e
sicuro "tappo" sulla punta, per evitare di ferirsi, proprio come
quelle alle Olimpiadi. Il vestiario era scomodo e pesante, il polso doleva nel
reggere la spada, ma... che bel divertimento!
All'aperto,
da buoni Italiani, si giocava, naturalmente a pallone, ma anche qui Zio Franco
era uno sportivo speciale: giocava nel ruolo di portiere in una squadretta
locale. Zio, naturalmente, mi insegnò tutti i trucchetti del mestiere: come
"chiudere" la porta in caso di punizione, come parare i rigori, come
afferrare il pallone in modo che non sfugga dalle mani, ecetra. Io non sono
stato mai un granché nel gioco dal calcio, ma quel ruolo e quei trucchetti mi
aiutarono a farmi accettare nella squadretta dei ragazzini del vicinato,
giacché "tappavo" il buco del ruolo che nessuno voleva mai prendere
durante le partite. Ad un certo punto, nonostante gli occhiali, grazie alle mie
performances divenni addirittura il "capitano" di un gruppo di
ragazzini di qualche anno più giovani. Grazie agli insegnamenti di Zio Franco,
assaggiai per la prima volta il sapore di essere un "capo". Io sono
tutt'altro che un leader naturale: da allora dovettero passare molti anni,
prima che riprovassi quella bella sensazione, al comando della mia compagnia,
impegnato in azioni militari vere e proprie.
Comunque
Zio Franco aveva ereditato da Nonno Tullio soprattutto l'amore per gli Scout.
Purtroppo non ebbi modo di partecipare a questa sua attività, perché nel mio
quartiere non c'era una tribù di scout laici. Quelli che c'erano, erano legati
alla parrocchia locale. Gli unici cugini che ebbero modo di partecipare ai
Jamboree furono Sandro e Lucia e, una generazione dopo, mio nipote Davide, per
il quale ho cominciato a scrivere queste righe. La tradizione della Tribù non è
spenta: " Be ready - Sii Preparato!".
Zio
Franco rimase a scapolo a lungo. Questa fu la ragione per la quale potè fare
"Lo Zio" per tanti anni. Quando arrivai all'età dell'adolescenza,
apparve sulla scena Germana, che ci vietò categoricamente di chiamarla
"Zia". Germana ha sempre voluto mantenere il suo status di amica, mai
quello di "parente". Tra loro si chiamavano con i soprannomi "Gè
e Già". Germana e Zio Franco si sposarono solo quando, arrivati alle
soglie dei quaranta, decisero di mettere al mondo un figlio: mio cugino
Daniele. Contando anche Sandro e Lucia, Daniele fu l'undicesimo ed ultimo
cugino, e nacque l'Undici Novembre del '74. Non poteva essere altrimenti,
perché...
Il
numero 11
Anche
le persone che, come me, non credono
agli oroscopi ed alle credenze popolari, ne ne mantengono a volte qualcuna per
tradizione di famiglia. Nel caso della Tribù esiste una credenza più o meno
radicata e riconosciuta da tutti i suoi membri, secondo la quale il numero 11
ha qualche significato speciale, in modo particolare riferito al giono del
mese.
Sembra
che questa credenza sia stata portata alla Tribù da Nonna Renata, la quale
soleva anche giocare questo numero al lotto con una certa costanza, anche se
con successo un po' minore: pare che l'unica volta che questo numero venne
fuori in una estrazione sostanziosa, fosse proprio quella nella quale nonna si
dimenticò di riempire il modulo... Insomma l'11, pur essendo riconosciuto come
il "Numero Ufficiale" della Tribù, a volte se ne faceva le beffe...
Naturalmente
so benissimo che, volendo, si potrebbe estrarre facilmente qualsiasi numero da
qualsiasi combinazione di date. Molte persone che credono nella numerologia,
pagano fior di quattrini per farsi consiglire dagli "esperti" in materia,
ignorando che quelli li prendono in giro, usando le quattro operazioni come fa
comodo a loro, a seconda del caso.
Comunque,
statistica alla mano, la data "11 del mese" ricorre nella Tribù senza
dubbio più spesso di quello che la casistica randomale permetterebbe: la
primogenita di Nonna Renata, mia Zia Enrica, è nata l'11 Marzo, e la
secondogenita, mia madre, l'11 Agosto. La prima nipote di Nonna, mia cugina
Michela, è nata l'11 Luglio, per non parlare dell'ultimo della serie, mio
cugino Daniele, che è nato addirittura l'11 Novembre del '74 (7+4 =11 !). Non
mi risulta che altri membri della Tribù siano nati l'11 del mese, ma anche io
ho cominciato a credere a questa data, considerando che sono nato il 26
Dicembre (2+6+1+2=11) e che mia sorella è nata il 28 Gennaio (2+8+1=11).
Anche
senza metterci di mezzo il famigerato 11 Settembre, altri "11 del
mese" che hanno segnato delle date da ricordare nella mia vita sono: Prima
ragazza - 11 Luglio, Matrimonio - 11
Febbraio. L'11 di altri mesi ricorre anche per altri avvenimenti importanti
della mia vita, sui quali non mi dilungo.
Un'ultima
curiosità: Alla fine del 1999 mia cugina
Rosella venne in visita in Israele. Sapendo che il mio compleanno cade pochi
giorni prima di capodanno, pensò bene di regalarmi un biglietto dell'estrazione
del lotto "del Millennio", che aveva premi maggiorati, rispetto alle
estrazioni regolari, aggiungendo che questo "regalo" le sembrava più
adatto del solito "maglione"... Chissà... un po' di buona fortuna...
Nonna ci credeva...
Non
ci crederete, ma delle 12 combinazioni possibili, una sola conteneva il numero
11, che... naturalmente venne estratto insieme ad altri tre della combinazione.
Non sono diventato milionario, ma il piccolo premio fu pari ad... 11 volte il
prezzo del biglietto comprato dalla cugina... Un occhiolino di Nonna Renata da
Lassù, o semplice... Fattore C? ai posteri l'ardua sentenza...
Nonna
Renata
Vorrei
completare la figura di Nonna Renata con qualche altra informazione, raccolta
in modo piuttosto frammentario dai vari membri della Tribù. Non escludo che in
questi ricordi ci siano alcune inesattezze, che mi prometto di correggere in
futuro.
Renata Mieli
nacqe nel 1902 ad Anagni, un paesino in provincia di Frosinone, da Graziano e
da Sarina. Il padre faceva il rappresentante di dolciumi e, presumibilmente, la
famiglia era piuttosto male in arnese. Pare che all'età di dieci mesi nonna sia
stata "adottata" da degli zii, Celeste e Giacomo, viventi a Roma.
Questi zii avevano perso poco prima una figlia, di nome Enrichetta, morta di
parto all'età di 18 anni (cosa molto comune a quei tempi). Non escludo che il
nome Renata, dato a mia nonna, fu scelto proprio perché lei era, appunto,
"rinata", in vece del/la figlio/a della defunta cugina Enrichetta. Non
sono sicuro di questi particolari, ma mi sembrano plausibili, anche alla luce
della fotografia del matrimonio di Nonna Renata e Nonno Tullio, nella quale gli
zii sono ripresi in posa in bella mostra ai lati degli sposi, mentre i genitori
di Nonna Renata sono fotografati in seconda fila, quasi come se fossero persone
meno importanti.
Un
paio di anni più tardi nacque un fratello minore, Mario. Ignoro se e quando i
genitori di nonna e zio Mario si trasferirono a Roma, ma è certo che di fatto
Nonna Renata fu allevata dagli zii. Questi zii avevano un negozietto di
merceria e, va detto a loro onore, non solo insegnarono il mestiere a nonna, ma
si curarorono di farle avere un'istruzione, naturalmente di carattere pratico.
Nonna infatti, cosa rara per una ragazza di quei tempi (attorno alla Prima
guerra mondiale), si diplomò in Ragioneria. Nonna Renata aveva le mani d'oro,
ed era bravissima nei lavori manuali. Non escludo che avesse un discreto
talento artistico e, chissà, in un altro contesto, sarebbe potuta diventare una
brava pittrice o simili, ma invece divenne una brava cuoca, un'ottima
organizzatrice e, dote del tutto non trascurabile, ebbe un'ottima capacità di
risparmio. Nonna seppe sempre accontentarsi di poco, fu sempre umile e parca
per se stessa, ma, al tempo stesso, molto pulita ed ordinata. Nonna riversò il
suo talento artistico nella disposizione delle piccole cose di casa: entrando a
"Casa di Nonna" si aveva sempre la sensazione che se qualcuno avesse
spostato qualche oggetto, avrebbe scombussolato irrimediabilmente l'ordine
"naturale" della casa.
Gli
zii, come ho detto, si curarono anche di dare un'istruzione a Nonna Renata.
Considerando che lei (a giudicare dalle fotografie) non era una bellezza e,
soprattutto, era povera, le dettero l'unica dote che le avrebbe consentito di
trovare un buon partito. Nonna Renata seppe mettere a profitto quel poco che le
concedette la vita di ragazza "trovatella", tanto è vero che, appena
diplomata, come leggeremo tra poco, la madre di un suo lontano cugino ritenne che
la dote era sufficiente, ed appropriata alle sue esigenze.
Fu
così che, all'età di 19 anni, Nonna Renata andò in sposa ad un lontano cugino,
Nonno Tullio. Non escludo che Nonna Renata fosse felice di sposarsi così
giovane. Forse sperava di uscire da quella sua situazione di
"trovatella", trovando il "Principe Azzurro". Infatti lo
trovò, nelle vesti di mio nonno, ma, contemporaneamente, si ritrovò anche a
fare la Cenerentola per tutto il resto della vita, con la differenza, rispetto
alla favola originale, che la "Matrigna" fu, invece, l'onnipotente ed
onnipresente suocera.
Nella
storia della Tribù ci furono due persone di nome Angelo: il defunto suocero di
Nonna Renata, che forse lei nemmeno conobbe personalmente, ed il primo figlio
maschio, chiamato in nome del nonno e, come vedremo, "Erede al Trono"
dell'azienda.
Ma
il vero ed unico angelo della Tribù, se ce n'è stato uno, fu proprio lei: Nonna
Renata.
Nonna
Fiorina
Gli
Inizi
Mia
bisnonna Fiore Di Segni in Di Veroli – per tutti: Nonna Fiorina – fu la fondatrice
della Tribù e, per quasi un secolo, ne fu la Monarca Assoluta. Proprio come la
Regina Vittoria, infatti, guidò e determinò la storia della Tribù, fino alle
generazioni successive. Come è scritto anche in un libro uscito in occasione
del centenario dell'Azienda, Nonna Fiorina fu una donna dal carattere forte e
dalla volontà d'acciaio. Una volontà, aggiungo io, che nonna seppe sempre
imporre, durante i suoi novant'anni di vita, senza mai fare una piega, su tutto
e su tutti.
Poco
dopo la sua morte, avvenuta il 20 Agosto del 1969, solo dieci giorni prima che
diventasse trisnonna, i suoi nipoti si trovarono in considerevole disaccordo su
certe questioni ereditarie. La cosa non sorprende, giacché queste sono cose che
succedono nelle tribù migliori , ma oggi, a distanza di tanti anni, e con gli
occhi di un pronipote che conosce certi fatti solo per "sentito
dire", possiamo capire come questi dissensi, che causarono la
frantumazione della Tribù, abbiano avuto origine remote. Tutta colpa – o merito,
a seconda del punto di vista – di Nonna Fiorina: Quella che "creò" la
Tribù, attorno all'azienda, e che la tenne ben salda ed unita, con le
"buone" o con le "cattive". Andata lei, la Tribù finì per
sparpagliarsi ai quatto venti.
Nonna
Fiorina, ci dice appunto la storia, nacque a Roma qualche anno dopo che la
città era diventata la capitale d'Italia. Nel 1900 aprì con il marito Angelo
una cartoleria sotto i portici di Piazza Vittorio. La cartoleria ed i suoi
sviluppi posteriori sono conosciuti come "l'Azienda" o, per noi della
Tribù, come "il Negozio". All'epoca dell'apertura del negozio, la
coppia aveva un figlio unico nato tre anni prima: Nonno Tullio, appunto. Il
negozio fu diretto fin dall'inizio con criteri moderni e quasi rivoluzionari
per quei tempi. Oltre all'esposizione dei prodotti all'ultimo grido in apposite
teche e vetrine, le commesse, per esempio, erano vestite con un camice uguale
per tutte. L'azienda continuò a prosperare negli anni successivi, finché,
purtroppo, Angelo, entrato nel 1914 in ospedale, per un'operazione minore, non
ne uscì.
Nonna
Fiorina, nonostante il colpo, non si perse d'animo. Forse fu il carattere,
forse l'esperienza di vita (era rimasta orfana di padre a nove anni, con tre
fratelli minori da allevare), forse furono entrambi le cose, fatto sta che lei
si buttò anima e corpo nel negozio, trasformandolo nei cinquanta anni
successivi in un'azienda prosperosa, che poi è diventata, in mano al nipote ed
ai pronipoti, un'azienda internazionale, specializzata nel campo.
Ma
la storia dell'azienda è scritta altrove. A noi interessa la figura di Nonna
Fiorina in seno alla Tribù. Per raggiungere lo scopo di vita che si era
prefissata, Nonna Fiorina, con decisione e costanza veramente esemplari, e
soprattutto con il suo carattere d'acciaio, prese da sola le decisioni e le portò sempre fino in fondo,
combattendo vittoriosamente contro chiunque le si oppose sulla strada del
successo.
La
prima furiosa battaglia fu da lei combattuta immediatamente dopo la morte del
marito, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Nonno Tullio, allora
diciott'enne (quindi minorenne), probabilmente influenzato dallo spirito
irredentista dell'epoca e, chissà, forse per sfuggire dall'opprimente madre,
fuggì da casa, per aggregarsi ad un gruppo di volontari italiani sul fronte
della Marna in Francia. Nonna Fiorina, che certamente vide i suoi futuri
progetti in pericolo, non esitò ad andare personalmente a discutere con i
generali in prima linea, leggi alla mano, per riportare a casa, con la forza,
quello scapestrato "figlio unico di madre vedova". I generali,
inutile dirlo, gliela diedero vinta: la Legge era dalla sua. E non mi
sorprenderebbe scoprire che acconsentirono a congedare Nonno Tullio anche in
onore al "fegato" che aveva dimostrato la madre.
L'Anteguerra
Salvato
il figlio unico dal furore della Grande Guerra, Nonna Fiorina pensò bene di
raddrizzarlo, facendogli assumere le dovute responsabilità, prima tra tutte
quella di mettere su famiglia, anche (o forse soprattutto) per dargli l'erede,
che avrebbe continuato a dirigere le sorti dell'azienda dopo di lei.
Nonno
Tullio era un bel ragazzo, gioviale, simpatico, esuberante. Uno dei primi a far
parte del movimento scautistico, tanto da ricevere in seguito la rara
onorificenza di "Scout Reale". Non mi sorprenderebbe venire a sapere
che le belle ragazze dell'epoca andassero pazze per lui, e che lui avrebbe
preferito sposarsi con qualche bel pezzo di figliola. Ma Nonna Fiorina la
pensava diversamente. Dopo aver "esaminato" alcune candidate, tra cui
la futura direttrice della Scuola Ebraica, la sua scelta cadde su una lontana
parente (donne e buoi, dei paesi tuoi): la giovane Renata aveva, oltre alle
altre qualità, anche il pregio di essere
diplomata in Ragioneria, la qualcosa, agli occhi di Nonna Fiorina, era tutt'altro
che da buttare via: il negozio, ormai prosperoso, aveva bisogno di una persona
fidata, che sapesse fare bene i conti. I ragionieri stipendiati erano cari e
non necessariamente affidabili fino in fondo. Le nuore, invece, erano...
famiglia e... gratis! Poco male se la candidata non era una bellezza: se
all'esuberante giovanotto fosse venuta la velleità di avere delle
"scappatelle", lei sarebbe stata lì, a dirigere, a comandare, a
controllare che la cosa non sfociasse in una crisi coniugale, tanto pericolosa
per i suoi proggetti futuri.
C'è
da dirlo: non ho mai sentito che "scappatelle" del genere siano mai
avvenute. E certamente Nonna Renata e Nonno Tullio impararono, con gli anni, ad
amarsi a vicenda. D'altronde la cosa è perfettamente concepibile, trattandosi
di due persone che seppero sempre farsi amare da tutti. Io, poi, come nipote,
non potrei pensarla diversamente. Non sarei comunque obbiettivo, trattandosi
dei miei cari nonni.
Ma
continuiamo la storia di Nonna Fiorina. Tanto per far cominciare il matrimonio
sul piede destro, Nonna Fiorina pensò bene di... andare in viaggio di nozze
insieme agli sposini. Poi, come già detto all'inizio, li insediò nella sua ex
camera matrimoniale, rifacendosi per lei una cameretta tutta nuova. Un anno
dopo, la casa udì i vagiti della prima nipote, Enrichetta, chiamata come la
defunta cugina. Otto mesi dopo la nascita di zia, Nonna Renata rimase di nuovo
incinta ed in capo due anni dal matrimonio
nacque mia madre, alla quale fu messo un nome senza storia, di moda a
quei tempi, Silvana. Presumo che la nascita di una seconda femmina non fu di
eccessivo gradimento di nonna Fiorina, ma su queste cose, a quei tempi,
decideva solo il Caso, mentre Nonna Fiorina decideva su tutto il resto. Le due
bambine erano molto diverse di aspetto e di carattere, ma vennero vestite
sempre uguali, come se fossero gemelle. Perché per Nonna Fiorina, avevano la
stessa sorte: un'istruzione sommaria, una buona dote e... ciao.
Nonna
Fiorina era dotata di una finissima
sensibilità commerciale. Seppe sempre cogliere al balzo tutte le novità e
riuscì sempre a far "far galoppare" l'azienda in testa a tutti i
concorrenti, anzi seppe rimanere sempre di... un'incollatura più avanti. Nonna
si era prefissata, come scopo di vita, di far prosperare il negozio e di
portarlo verso il suo glorioso futuro. Ci riuscì, superando per strada non
pochi ostacoli. Ma potè fare tutto questo, perché diresse l'azienda da Monarca
Assoluta. Fin dagli inizi capì sicuramente che non poteva permettersi il lusso
di venire a compromessi. Probabilmente per questo non si risposò, ma preferì
programmare il futuro dei suoi eredi.
Per
essere sicura che gli altri avrebbero fatto sempre la sua volontà, innanzi
tutto li tenne legati a sé per la borsa: I soldi rimasero sempre in mano sua,
(o di chi a lei sembrò più opportuno nella contingenza). Seppe investire il
capitale che si accumulava, parte per ingrandire piano piano l'azienda, parte
per comprare degli immobili, aventi funzioni diverse. Gli immobili, inutile
dirlo, erano tutti intestati a nome suo. Già alla fine degli anni venti
acquistò ad Ostia un appartamento per la villeggiatura, sul quale ritorneremo,
parlando degli anni cinquanta. Poi un magazzino, ed altri appartamenti,
compreso quello soprastante il negozio, che permise più in là allo stesso di
estendersi anche in altezza.
Se
Nonna Fiorina sapeva vedere molto in là nel futuro in fatto di commercio, aveva
delle idee molto "all'antica" in altri campi, primo fra tutti quello
di carattere ereditario. Proprio come nella Bibbia e nel Medio Evo, stabilì che
l'azienda sarebbe dovuta passare ad una sola persona: nella fattispecie il
Primogenito Maschio di Nonno Tullio, Zio Angelo, nato, finalmente, tre anni
dopo la sorella. Questo suo modo di pensare aveva senza dubbio una sana logica
commerciale: bisognava ad ogni costo evitare che il "Reame"
faticosamente conquistato, si spezzettasse in futuro in tanti frammenti. Anche
durante il Medio Evo, il primogenito maschio era quello che ereditava il
Titolo. I figli cadetti si guadagnavano il pane facendo... i cavalieri e...
combattendo i draghi.
E
le femmine? A loro si forniva una buona dote e si davano in sposa al primo
Principe Azzurro di passaggio. Era lui che avrebbe dovuto, da allora in poi, provvedere
al loro sostentamento... il più lontano possibile dall'Azienda...
Sette
anni dopo la nascita di Zio Angelo, successe un'increscioso incidente: quando
Nonna Fiorina pensava che le cose familiari fossero ormai sistemate, nacque un
altro maschio, Zio Gianfranco. Brutta faccenda: un pericoloso concorrente ai
suoi progetti. Ma per il momento Nonna Fiorina rimandò il problema: si era nel
'34. Di lì a poco sarebbe scoppiata la Bufera.
Tralascio
di raccontare qui le sorti alterne della Tribù durante il periodo della Guerra:
sono raccontate altrove. Dirò solo che la famiglia si salvò al completo e che
il negozio riaperse i battenti non appena gli Americani liberarono la Città
Eterna.
Il
Dopoguerra
Le
gesta di Nonna Fiorina riprendono nell'immediato dopoguerra. Il problema da
affrontare: la proprietà del negozio. Nonostante che Nonna Fiorina avesse già
acquistato, con i guadagni dell'azienda, vari immobili, il negozio era solo in
affitto. Ne era proprietaria una grossa società immobiliare, che possedeva e
gestiva anche i Grandi Magazzini MAS adiacenti. Il magnate che possedeva il
maggior pacchetto azionario di questa società immobiliare, aveva tentato più
volte, già da prima della guerra, di sfrattare i proprietari del negozio,
soprattutto per ingrandire i MAS, e perché il negozio faceva una spietata
concorrenza al settore cartoleria degli stessi. Nonna Fiorina, inutile dirlo,
aveva combattuto sempre da leone, riuscendo, sì, a mantenere il negozio, ma
rischiando costantemente lo sfratto.
Nel
libro del centenaro dell'azienda, mio Zio Angelo si prende il merito di aver
risolto finalmente il problema alla fine degli anni '50, ma io conosco un'altra
versione, raccontatami da mio padre solo molti anni dopo. La riporto qui,
perché è molto più "consistente" con la figura di Nonna Fiorina. Ma
di questa faccenda parleremo tra poco. Nel frattempo...
...
Nel '45 nonna fu impegnatissima a riguadagnare il tempo perduto durante la
guerra: da un lato a rimettere in piedi il negozio e ad allargare l'azienda,
dall'altro "sistemare" i progetti familiari, lasciati in sospeso.
Zio
Angelo, l'erede, era ormai giunto in età. Nonna si dedicò con impegno ad
insegnargli il mestiere di dirigente, innanzi tutto affidandogli il settore
delle vendite all'ingrosso. Zio, c'è da dirlo, fu un ottimo alunno. Sia per
merito personale, sia per l'aiuto concreto ricevuto dalla nonna, continuò a
sviluppare l'azienza negli anni a venire: pochi anni più tardi zio ed il
settore si trasferirono poco distante. Il magazzino all'ingrosso, col tempo, si
trasformò, sotto la sua guida in quell'azienda internazionale che è oggi.
Ma,
in seno alla Tribù, Nonna Fiorina doveva sistemare un'altra cosa: accasare (ed
allontanare dall'azienda) le "ragazze". Riguardo il nipote minore,
Zio Gianfranco, ancora un ragazzino, il problema si poteva posporre. Non che
nonna avesse bisogno di aiuto, riguardo alle nipoti: Enrica e Silvana le
"gemelle", poco più che ventenni, anche loro volevano riguadagnare il
tempo perduto, quando, proprio nell'età dell'adolescenza, si erano trovate con
i problemi delle Leggi Razziali e delle persecuzioni. Zia Enrica si sposò nel
'46 con zio Dario, più anziano di lei di 10 anni. Nonna Fiorina vide certamente
"bene" quel matrimonio: il genero gestiva un negozio di merceria,
insieme al fratello scapolone, vicino a Piazza Navona. Veniva da una famiglia
conosciuta. Un suo zio (o cugino) era stato ufficiale, durante la Grande Guerra
in quell'unità dalla quale Nonna Fiorina era andata a riprendersi Nonno Tullio,
sulle sponde della Marna...
Nel
frattempo mia madre aveva incontrato mio padre, anche lui poco più che
ventenne, appena reduce dalla Guerra di Liberazione. Mio padre aveva perso
tutta la famiglia il 16 Ottobre, salvandosi per miracolo, e viveva
provvisoriamente a casa di cugini, lavoricchiando da rappresentante di
alimentari. I miei nonni paterni non avevano proprietà, percui, agli occhi di
Nonna Fiorina, mio padre era un Nullatenente e, non gestendo almeno un negozio,
un Nullafacente. D'altronde la cosa era di poca importaza: anche la nipote era
stata un "bastian contrario" in giovinezza. Che si sposassero e che
si guadagnassero da vivere: lei, Nonna Fiorina, aveva pronta la dote per le due
ragazze: un grande appartamento al Corso Italia, che le ragazze avrebbero
dovuto affittare e gestire insieme: Nonna Fiorina considerava le due nipoti
come una sola persona, anche in questo, continuando ad ignorare completamente
che avevano, tra l'altro un carattere completamente diverso.
Mio
padre, lui stesso senza arte né parte, aveva un lontano cugino (od un buon
amico) che possedeva un piccolo pacchetto azionario della società immobiliare
proprietaria del negozio. Questo cugino, venuto a sapere del fidanzamento dei
miei genitori (comunicato al matrimonio di mia zia – perchè spendere soldi per
due feste? - Nonna fiorina prese due piccioni con una fava), propose a mio
padre di acquistare il pacchetto azionario, che gli avrebbe permesso anche di
mettere un piede nelle sorti
dell'azienda della futura moglie. Mio padre, naturalmente, i soldi per comprare
le azioni, non ce li aveva, ma raccontò la cosa in famiglia. Nonna Fiorina,
naturalmente, prese la palla al balzo:
Diede
i soldi necessari a mio padre, che, comprate le azioni dal parente, le passò
immediatamente a Nonna Fiorina, la quale le distribuì equamente tra i membri
maggiorenni della Tribù, mettendole a nome di Nonno Tullio, Nonna Renata e Zio
Angelo. Nel frattempo diede istruzioni a mio padre, perche facesse sapere al
magnate, proprietario del pacchetto maggioritario della società immobiliare, che
era interessato a venderle. Il magnate, naturalmente fu interessatissimo a
venire in possesso del pacchetto azionario, che gli avrebbe finalmente permesso
di avere l'assoluto controllo della società immobiliare e, chissà, finalmente
anche la possibilità di sfrattare i proprietari del negozio. Nonna Fiorina
istruì mio padre a fare un po' di tira-e-molla, come per alzare il prezzo. Il
magnate, per convincere mio padre definitivamente, offrì un prezzo di molto
superiore al valore reale. Mio padre fece capire di accettare, ma chiese
(secondo le istruzioni di Nonna Fiorina) di concludere l'affare in seno alla
riunione dei soci – per controllare il
valore reale delle azioni, ecc. - . La richiesta era accettabile, e
naturalmente fu accolta.
Ma
quando giunse il momento della riunione, il magnate si trovò di fronte, non il
soldatino ventenne inesperto, ma i quattro Di Veroli, ognuno di loro con un
pacchetto azionaro ed... il diritto di voto nelle riunioni amministrative della
società immobiliare.
Il
magnate capì subito di essere stato messo nel sacco, e disse malinconicamente a
nonna: "O.K., hai vinto. Cosa vuoi?"
Al
che Nonna Fiorina, sbattendo un pugno sul tavolo, rispose trionfalmente: "IL NEGOZIO
!!!".
Le
mura del negozio furono finalmente acquistate al loro prezzo e, da quel
momento, la minaccia di sfratto fu scongiurata definitivamente.
Molti
anni dopo, dopo la morte di Nonna Fiorina, quando mio padre ebbe dei contrasti
con il resto dei parenti, si rammaricò di non aver accettato l'offerta di quel magnate:
restituiti i soldi a Nonna Fiorina, ce ne sarebbero stati a sufficienza per
comprarsi una casa. Quello che seccava mio padre, a scoppio ritardato, è il
fatto che Nonna Fiorina non gli avesse lasciato in mano nemmeno un'azione,
tanto per fare presenza a quella famosa riunione. Ma Nonna Fiorina non poteva
ancora fidarsi del futuro marito della nipote. E in ogni caso non gli avrebbe
mai permesso di diventare proprietario dell'aziena, nemmeno per un po'. Usarlo
per i suoi fini, era un discorso, accettarlo come socio, un altro. Comunque mio
padre si illudeva: sono sicuro che Nonna Fiorina, se lui avesse tentato di fare
il colpaciuo, avrebbe immediatamente annusato
la cosa.
Dal
mio egoistico punto di vista, è meglio che le cose siano andate così: forse mio
padre sarebbe diventato proprietario di una casa, ma... il matrimonio tra i
miei genitori sarebbe andato a monte, e voi... non stareste qui, a leggere la
Storia della Tribù!
Nel
'47, dopo una prima gravidanza finita male di un maschio, nacque la prima
pronipote, mia cugina Michela, che oggi è nonna di dieci nipoti. Poi, nel
Novembre del '49, mia cugina Rosella. Pare che zio Dario, che in queste cose la
pensava come Nonna Fiorina, fu estremamente insoddisfatto della cosa, al punto
di "rifiutare" per un po' la sua secondogenita. Mia cugina risentì di
questo "rifiuto" per tutta la vita. Ma di queste cose parleremo
semmai altrove, dopo esserci consultati con lei. Nonna Fiorina, come vedremo,
ebbe ancora da dire la sua dopo la nascita dell'agognato maschio Di Cori, il
mio... cuginetto Fabio.
Nel
frattempo, nel Marzo del '49, si sposarono i miei genitori. La cerimonia fu una
replica del matrimonio degli zii, abito da sposa di mia madre compreso, che fu
quello della sorella maggiore, riciclato. Nonna Fiorina, vista l'impossibilità
di mio padre a provvedere una casa, concesse alla nuova coppia di insediarsi
nella "Casa per le Vacanze" di Ostia, a condizione che la stessa
avesse continuato a mantenere le sue funzioni nei mesi estivi. Fu così che, a partire
dall'estate del '49, quando le due sorelle erano entrambe incinte, gli sposetti
novelli dovettero sopportare "l'invasione" dei cognati e della
piccola Michela. Questo "arrangiamento" continuò per diversi anni,
almeno fino al '54, giacché me lo ricordo perfettamente anche io. Superfluo
parlare della tensione estiva, prodotta dal caratterino delle sorelle, da
quello tanto diverso dei due cognati e dalla selva di noi quattro (o cinque)
cugini...
L'
"accampamento" estivo si concluse, alla fine, credo, dopo un fiero
battibecco tra mio padre ed il cognato, battibecco che fece seguito ad un
maldestro colpo di pallone, tirato in casa da uno dei miei cugini, che mandò in
frantumi una campana di vetro del lampadario. Per mio padre non si era trattato
di un "piccolo incidente": quel lampadario era uno dei pochissimi
ricordi che mio padre era riuscito a salvare della casa della sua famiglia
distrutta dalla guerra. Era un cimelio, un ricordo di persone amate che non
c'erano più...
Anche
Nonna Fiorina capì che certe sue imposizioni
avevano un limite. L' "accampamento" finì, ma non finirono i
"conti". Questa che i miei genitori si erano insediati nella
"Casa per le Vacanze" gli altri membri della Tribù non la mandarono
mai giù.
Era
giunto per Nonna Fiorina il momento di "occuparsi" del "terzo
incomodo": mio zio Gianfranco. Per evitare che si facesse venire delle
velleità da "dirigente", imparando l'arte che lei stava insegnando
con tanto zelo al fratello maggiore, lo spedì, ancora giovinetto, a "guadagnarsi
il pane", facendolo assumere da una cartiera, lontano da Roma e dalle
sorti dell'azienda. Mio zio non perdonò mai alla nonna questa imposizione:
invece di assumere delle responsabilità in seno al negozio, si ritovò a fare un
lavoro umile, lontano da casa, dagli amici e dalla famiglia. Poco dopo venne
chiamato alle armi e, da bravo sportivo, decise, per la prima volta nella vita
di sua volontà, di servire nei Bersaglieri, fiero di servire la Patria.
Il
fratello maggiore non aveva fatto la naja. Quando era toccato a lui si era
nell'immediato dopoguerra. Zio Angelo era studente: pur prediligendo gli studi
di filosofia, andò a studiare economia e Commercio, per aquisire le nozioni
necessarie a dirigere l'azienda, con sicura soddisfazione di Nonna Fiorina. Zio
lavorava di giorno e studiava la notte, fino a quando gli impegni del lavoro
non gli consentirono più di proseguire gli studi, e li interruppe a pochi esami
dalla laura. Comunque ebbe modo di mettere in pratica quello che aveva imparato
sia da Nonna Fiorina, sia all'Università.
Forse
Nonna Fiorina fece diverse cose che oggi fanno alzare un sopracciglio. Ma non
stiamo a giudicare con gli occhi di persone nate e cresciute in un'altra epoca,
dove l'eguaglianza dei sessi è sacra e l'eguaglianza tra eredi è legge. Nonna
Fiorina forse calpestò qualcuno per strada, ma lo fece sempre con vero spirito machiavellico: il Fine
giustifica i Mezzi. E il Fine, per mia bisnonna, è sempre stato chiaro, fisso
e, ai suoi occhi, giusto. Chi siamo noi, per poter giudicare? Lasciamo il
compito a Quello di Lassù.
Eccovi
un esempio di un'altra "impresa" di nonna: dopo averla letta, sarete
d'accordo con me che questa volta il Fine era buono, anche ai vostri occhi.
Il
fatto mi è stato raccontato di persona da Zia Enrica pochi mesi prima di
scrivere queste righe.
Come
abbiamo già detto, anche Zio Dario era di quelli che credeva al
"maschio". Il fatto di avere due figlie femmine non gli andava
proprio giù. Ma Zia Enrica aveva già avuto tre gravidanze difficili. Nel'54 ne
ebbe, probabilmente controvoglia, un'altra, anch'essa non facile affatto. Volle
il cielo che questa volta si concluse felicemente con la nascita di un maschio,
mio cugino Fabio. Ma lo sforzo fatto per "accontentare" Zio Dario
causò a Zia Enrica la depressione post-partum. Nei giorni che seguirono la
nascita, zia non si curò di accudire il neonato e non si curò delle bambine.
Rimase a letto a dormire o senza la minima intenzione di alzarsi. Zio Dario,
girava per casa come un leone in gabbia, non sapeva che pesci pigliare e si
sentiva perduto. Il piccolo Fabio era in pericolo. Le bambine erano abbandonate
a se stesse. Ed i medici cosa facevano? I medici dissero laconicamente che non
ci potevano fare niente: erano cose che potevano succedere. Nessuno sapeva dire
se e quando zia sarebbe uscita fuori dalla depressione. La cosa spaventò tutti. Tutti... meno... Nonna Fiorina: lei ne
aveva già viste di peggio.
Nonna
Fiorina, benché quasi ottantenne, prese in mano la situazione: una bella
mattina arrivò a casa degli zii, insieme a Nonna Renata. Ordinò perentoriamente
a Zio Dario di uscire di casa e di andare ad aprire il negozio. Lì a casa era
inutile. Il negozio, invece, andava aperto: non era né giorno di lutto, né
domenica, né Yom Kippur.
Quando
le tre donne furono sole, ordinò a Nonna Renata di tirare fuori la figlia dal
letto con la forza, e di vestirla. Scesero le scale, dove le apettava una
"carrozzella". Girarono per Roma, come nella canzone di Renato
Rascel. Nonna Fiorina mostrò a Zia Enrica tutti i luoghi della sua giovinezza,
ricordandole le mille cose belle che le erano accadute da trent'anni in qua.
Poi, come per caso, dopo un ultimo giro a Piazza Navona, la carrozzella si
fermò davanti al negozio di Zio Dario. Nonna Fiorina fece scendere la nipote e
disse perentoriamente a zio: "Portati tua moglie a casa: c'è un bambino
che aspetta le sue cure!". La carrozzella ripartì con le sole nonna Renata
e Nonna Fiorina.
Inutile
dire che la cura funzionò. Come tutte le "Cure della Nonna", d'altro
canto...
Fin
qui Nonna Fiorina come me l'hanno "raccontata" o come me la sono
voluta immaginare.
Gli
Ultimi Anni
Ora
arriviamo agli anni '60, gli ultimi dieci di nonna. Qui, finalmente posso
descrivere Nonna Fiorina, come l'ho conosciuta personalmente.
Essendo
nonna nata attorno al 1876, i miei ricordi personali risalgono al tempo in cui
lei aveva già circa 80 anni. Me la ricordo piena di rughe, camminare sul suo
bastone per casa e, principalmente, seduta alla cassa del negozio, dove
continuò indefessa il suo lavoro per alcuni anni ancora, coadiuvata da una
cassiera stipendiata. Questa cassiera cambiò varie volte, segno che Nonna
Fiorina prima o poi trovava qualcosa da ridire sul suo lavoro. Ebbi modo di
osservare nonna attentamente, specie durante le vacanze di Natale, quando ero
già grandicello, quando andavo ad "aiutare" i nonni. In quel periodo
dell'anno, il negozio apriva una bancarella di fronte al negozio, sotto i
portici di Piazza Vittorio, con tutti gli accessori per l'albero di Natale: mi
divertivo un mondo a vendere palle di vetro multicolori, pastorelle ed
angioletti per il presepe e festoni di carta colorata di tutte le dimensioni.
Dopo
che io avevo impacchettato l'acquisto, il cliente andava a pagare alla cassa. A
volte doveva fare addirittura la fila. Lì, con un gesto automatico, ma
trapelante un senso di trionfo, Nonna Fiorina timbrava lo scontrino con il
PAGATO, mentre la cassa mandava il noto squillo di campanella.
Con
il passare degli anni, Nonna Fiorina stette alla cassa sempre meno. Camminava a
stento, sempre più curva sul suo bastone, prima ancora indipendente, poi
aiutata dalla cassiera o dal fido Nino, il "factotum" del negozio,
che era anche il portiere del palazzo dove abitavano i nonni, nonché l'autista
di famiglia. Di Nino parleremo altrove, a proposito della "servitù":
Voglio ora parlare di due ultimi ricordi: le "mentine" e le "500
lire".
Da
bambini, quando noi pronipoti andavamo a fare visita al negozio ed a porgere
gli ossequi a Nonna Fiorina, lei ci accoglieva sempre seduta sulla sua sedia,
posta su piano rialzato della cassa. Ci scrutava dall'alto, come per misurarci
e decidere quale dei molti pronipoti promettessesse un buon futuro. Senza
dircelo espressamente, ci scrutava e ci studiava. E, chissà, cercava di
insegnarci qualcosa: prima di tutto a comprendere il valore delle cose. Anche
di quelle piccole.
Credo
che Nonna Fiorina fu l'unica persona che cercò di insegnarmi che esistono cose
"speciali" e "preziose", a prescindere dal loro valore
reale: le "mentine", per esempio.
Nonna
Fiorina aveva sempre con sé una bustina di piccole caramelle alla menta, di
forma quadrata, che comprava in un "posto speciale". Non le ho mai
viste altrove. Quando andavo da lei, non osavo mai chiedergliele (a Nonna
Fiorina non si chiede!), ma lei me ne dava sempre un po'. La cerimonia era
sempre la stessa: le tirava fuori lentamente dal sacchetto e le contava una per
una, mai più di dieci. Credo che tutta questa cerimonia le rendeva le più
saporite di tutte le caramelle alla menta del mondo. Sono le cose rare, quelle
che valgono di più.
Durante
gli anni '60, nel periodo del "boom", la zecca coniò delle bellissime
monete d'argento da 500 lire. Per qualche anno furono usate come moneta
corrente, poi, con l'aumento dell'inflazione sparirono dalla circolazione.
Oggi, pur non valendo molto dal punto di vista strettamente numismatico, sono
introvabili.
Nonna
Fiorina aveva l'abitutine di mettere sempre da parte quelle bellissime monete
di un colore bianchissimo. Quando un pronipote compiva gli anni, Nonna Fiorina
gli regalava 1000 lire, sempre in due di quelle belle monete d'argento, con la
raccomandazione di non spenderle, ma di "Metterle da parte".
Raccomandazione inutile, perché noi le usavamo subito per comprarci qualche bel
giocattolo. Allora 1000 lire, per noi bambini, non erano poche. Dagli altri
parenti ricevevamo sempre solo dei regaletti. Avere una sommetta tutta per noi
era un'altra rarità che conoscemmo solo grazie a Nonna Fiorina.
Comunque
nonna, ormai molto anziana, non si dedicò a decidere la sorte di noi pronipoti.
Sempre più curva negli anni, ebbe ancora la fortuna di veder nascere la
generazione successiva dei dirigenti dell'azienda, i miei cugini Stefano ed
Anna. Zio angelo, infatti si era sposato nel 1962. Qualche anno prima, a dire
il vero, si era finanzato ufficialmente, come si usava allora, e presumo con la
benedizione della nonna, con una simpatica ragazza di famiglia ebrea molto
benestante, senonché pare che la madre della fidanzata fosse un tipo "alla Nonna Fiorina" e Zio Angelo,
capito con che famiglia stava per imparentarsi, decise altrimenti e ruppe il
fidanzamento. O, almeno non fece molto per mantenerlo sano. Poi, nel '59
incontrò finalmente la bellissima Laura
Schaerf, dal carattere gentile e sorridente, che, appena arrivata sulla scena,
fece innamorare perdutamente non solo Zio Angelo, ma tutta la Tribù, di un
amore che persiste immutato ancora oggi, dopo quasi cinquant'anni, al momento di scrivere queste righe.
All'età
di quasi novant'anni, Nonna Fiorina, curva più che mai, smise definitivamente
di andare al negozio. Per un po' girò ancora per casa, aiutata da una domestica
o da Nonna Renata, poi si ridusse costantemente a letto, la schiena ricurva
sorretta da grandi cuscini.
L'ultima
volta che sentii la sua voce, debole ma ancora perentoria, fu quando chiamò più
volte invano il nome del figlio, appena deceduto. Sono sicuro che Nonna Fiorina
lo capì perfettamente...
...
E così decise che era giunto il momento di lasciare il palcoscenico alle
generazioni future. Magari per andare a rimproverare il figlio, che se era
andato prima di lei, senza aspettarla.
Non
vidi Nonna Fiorina sul letto di morte, ma al funerale sentii qualcuno
meravigliarsi, perché la schiena di nonna si era completamente raddrizzata in
punto di morte.
Nonna
Fiorina , in vita sua, non aveva mai lasciato nulla al caso:
Si
raddrizzò per incontrare il Padreterno, per la prima volta di persona. E volle
incontrarLo così, come Lui l'aveva sempre conosciuta, durante i suoi
novant'anni e passa di vita:
la
Fiera, Indefessa, Onnipresente,
Regale, Indomita,
Nonna FiorinA
Il
Carattere Genetico
È
giunto il momento di confutare una leggenda. Sono sicuro che diversi componenti
della Tribù non saranno d'accordo con la mia teoria, ma... chissenefrega! Gli
scrittori di... biografie hanno il vantaggio di poter dire la propria, senza
poter essere contraddetti!
Come
abbiamo visto finora, i tre nonni, Renata, Tullio e Fiorina, avevano un
carattere completamente diverso tra di loro. Nella Tribù è sempre circolata la
leggenda che i quattro figli Di Veroli avessero, ognuno di essi, preso il
carattere dei genitori o della nonna.
La
primogenita Enrica prese un po' da tutti e tre: Lo spirito di avventura da
Nonno Tullio, una certa testardaggine da Nonna Fiorina ed il modo di fare
affabile da Nonna Renata.
Zio
Gianfranco fu una "copia" Di Nonno Tullio, in tutto e per tutto, a
partire dallo "spirito scautistico", dall'amore per lo sport,
eccetra.
Su
questi due zii sono d'accordo con la leggenda.
Ma
quando si arriva a Zio Angelo ed a mia madre, la leggenda narra che Zio fu la
"copia" di Nonna Fiorina, mentre, forse per macanza di candidati, a
mia madre fu "assegnato" il carattere di Nonna Renata.
Restando
attaccati agli "sviluppi storici" dell'azienda, è facile capire come
a Zio Angelo sia stato "assegnato", in Tribù, il carattere di Nonna
Fiorina:
Zio
ebbe senza dubbio il finissimo spirito commerciale della nonna. Da lei
sicuramente ereditò quelle capacità che lo portarono a sviluppare l'azienda
proprio secondo i sogni della stessa.
Anche
riguardo a mia madre si potrebbe dire, come per
Nonna Renata, che non fu mai realmente padrona della propria vita e che
furono un po' gli altri a decidere per lei.
I
fatti storici sembrano dar ragione alla leggenda... Forse... ma...
Ma io
non mi riferisco a "quello che è successo" nella loro vita. Mi
riferisco al carattere di base. Quello ricevuto per via genetica, non quello
che è venuto fuori per imposizione di Nonna Fiorina, per le vicende della
guerra e per le altre influenze esterne. Io parlo del Carattere Genetico,
quello che sarebbe venuto fuori di loro, se i fatti della vita li avessero
portati altrove.
E
qui, in visione retrospettiva, ho fatto un scoperta interessante: riguardo a
Zio Angelo ed a mia madre... è tutto il contrario!
Fu
Zio Angelo ad ereditare (geneticamente) il carattere di Nonna Renata e, se
qualcuno lo prese da Nonna Fiorina, semmai, quella è stata, almeno in parte,
proprio mia madre.
Zio
Angelo, lo sappiamo, era stato designato da Nonna Fiorina a diventare l'erede
dell'azienda. Il suo destino fu decretato ancora prima che nascesse.
Da
bambino fu fatto crescere come "l'erede al trono". Le uniche
informazioni che ho sulla sua giovinezza sono, ovviamente, quei pochi aneddoti
raccontati da mia madre, uno dei quali è che da bambino si guardava spesso allo
specchio, vantandosi di assomigliare al "Re di Roma" (Napoleone II,
il figlio di Napoleone I e di Maria Luigia d'Austria). Erano sicuramente vezzi
da bambino "viziato", visti ironicamente dalle sorelle
"maggiori", ma questo ci dice come fin da piccolo, zio Angelo fu
educato ad autoconsiderarsi "l'erede al trono". Considerando che zio
è nato nel 1927, e che le leggi razziali vennero fuori quando lui aveva solo 12
anni, la sua adolescenza, dal principio alla fine, avvenne in un periodo in cui
non ebbe mai modo di dire la sua né di agire secondo le spinte del suo vero
carattere. A casa Nonna Fiorina e fuori casa... Mussolini, decisero per lui.
Sarebbe diventato qualcos'altro, se la Storia glielo avesse concesso? Credo di
sì. Il modo di fare e di parlare di Zio Angelo è stato molto diverso da quello
di Nonna Fiorina. Zio parlava lentamente, soppesando ogni parola, in modo
estremamente affabile, quasi effeminato, oserei dire. In ogni suo discorso è
sempre trapelato il tono di uno che si discolpa eternamente, anche, e
soprattutto, se è "costretto" a fare qualcosa che il suo prossimo
probabilmente non gradirà affatto. Durante le diatribe ereditarie, quando zio
ed i miei ebbero dei seri contrasti, anche di opinione (lo so solo per sentito
dire, giacché io non ero più in casa), sentii definire il suo modo di fare come
quello di uno che "getta il sasso e nasconde la mano". Non voglio
giudicare i fatti. Ma la cosa sembra
consistente con un carattere di base, nel quale zio, ligio al dovere di
"dover conservare il regno" contro chi lo avrebbe irrimediabilmente
mandato in malora, si dedicò con impegno a portare a termine il compito
affidatogli, ancor prima di nascere, dalla nonna. E se la filosofia della nonna
imponeva che il fine giustifica i mezzi, bisogna usare i mezzi migliori. Questo
non toglie che bisogna parimenti scusarsi col "nemico", dovo averlo
battuto. Almeno in questo, zio prese
sicuramente da Nonna Renata. è
vero che, a differenza della madre, lui aveva cominciato la vita da benestante
e con tutte le carte in regola per arrivare lontano, ma, sotto un certo punto
di vista, il suo carattere lo spinse da un lato ad essere diligente fino al
perfezionismo, dall'altro gli lasciò quella eterna malinconia di essere sempre "costretto"
a fare le cose in modo differente da quello che il suo interiore gli avrebbe
suggerito.
Chissà?
Forse è tutta una mia fantasia, E non saprò mai la verità, ma mi piacerebbe
immaginare uno Zio Angelo scrittore, poeta, o chissà che altro. Ma da piccolo, invece
di essere "coccolato" dalla mamma, fu "responsabilizzato"
dalla nonna. A sedici anni fu costretto a rifugiarsi in convento, invece di
correre felice per i prati. Ed a 18 anni fu "costretto" a prendere le
funzioni ufficiali del "Principe di Galles", o, se vogliamo... del Re
di Roma...
Mia
madre, al contrario del fratello minore, fu, a quanto pare, un "Bastian
contrario". Naturalmente quel poco che so del periodo della sua infanzia,
non l'ho mai saputo da lei in persona. Ci mancherebbe altro! Ma credo di averlo
capito da qualche racconto frammentario raccimolato soprattutto da mia zia.
Purtoppo è troppo poco per ricostruire l'infanzia di mia madre.
Ho
già accennato come le due sorelle, pur essendo quasi coetanee, avevano un
carattere decisamente differente. Mia zia, probabilmente per essere la
"maggiore" venne responsabilizzata di più, mentre mia madre fu fatta
crescere un po da "selvaggia": senza responsabilità da prendere,
senza che qualcuno si interessasse veramente dei suoi studi. Il fatto che a casa,
da ragazzina, aveva una domestica che cucinava, puliva ecc., e che lei mancò di
"disposizione naturale" per queste cose, non ne fece né una buona
cuoca, né un donna capace di tenere una casa ordinata. Certamente non ereditò
queste due qualità dalla madre. Parlando delle qualità "commerciali",
mia madre non ebbe mai la possibilità di svilupparle. Ho la sensazione che il
potenziale c'era, e questo lo dico, perché ho notato che, quando si tratta di
curare le sue cose economiche, lei ha le idee molto chiare per quello che la
riguarda. Potendolo, non permette agli altri di "consigliarla", in
fatto di economia. Se il suo istinto le dice che una cosa non le conviene, non
c'è santi che tengano. Ma l'istinto non basta. Per diventare una donna
d'affari, avrebbe dovuto anche imparare il mestiere. Mestiere che non solo non
le fu mai insegnato, ma il cui apprendimento fu addirittura abortito da Nonna
Fiorina. Oso pensare addirittura che, in mancanza di un nipote maschio, mia
nonna avrebbe forse preso in considerazione lei come "erede al trono
dell'azienda"... ma invece, o forse proprio per evitare che la cosa
succedesse, Nonna Fiorina si dedicò ad abortire qualsiasi velleità, innanzi
tutto "gemellando" mia madre con la sorella, trasformando le due sorelle
in un'identità unica. Mia zia e mia madre furono, in giovinezza due
"gemelle siamesi" per forza, dal vestito dell'infanzia (vedi foto) a
quello da sposa. Il periodo della guerra (15 - 21 anni) contribuì solo a
ritardare l'operazione di separazione delle "gemelle siamesi".
Nonostante gli ultimi sforzi di Nonna Fiorina (vedi storia della casa delle
vacanze). Appena poté, mia madre decise che aveva condiviso fin troppo con la
sorella: per suo volere l'appartamento di Corso Italia, di proprietà in comune
(e di ottimo valore economico) fu venduto, per comprae con il ricavato due
appartamentini separati, uno per sorella. Peccato, perché il valore di quello
originale era senza dubbio maggiore dei due insieme.
Questa
storia potrebbe insegnare che mia madre non avesse preso affatto l'istinto
commerciale della nonna. Ma la testardaggine... sì. Quella volontà di
"fare di testa sua" a tutti i costi, contro tutto e tutti. Anche
contro la logica economica. L'essenziale: rivendicare la sua individualità
"castrata" per vent'anni e passa. Alla faccia della nonna!
Mia
madre, a differenza della sorella (basta vedere le fotografie) era una bella
ragazza. Occhi azzurri e capelli corvini, lisci e lunghi (però arricciati a
"permanente" come andava ai suoi tempi). Proprio come una diva degli
schermi, anni '40. Arrivata in età, si sposò con il più bel ragazzo del
"quartiere", somigliante pure lui ad un attore cinematografico
dell'epoca. Che i miei genitori fossero "la coppia più bella del
mondo" dell'immediato dopoguerra, non c'è dubbio. Che fossero solo una
bella coppia, senza arte né parte (agli occhi di Nonna Fiorina e dei
"negozianti" ebrei dell'epoca), pure. Ma sono i miei genitori. Chi
sono io, per criticare. Li ringrazio per avermi... fatto!