La Lezione di Marzullo

 

Marzullo è stato un mio compagno di classe di Prima Media. Sto parlando dell’anno scolastico 1962-’63.

Da allora sono passati cinquant’anni, ma ancora mi ricordo la sua Lezione.

 

Marzullo, naturalmente, era il suo cognome. Il nome proprio non me lo ricordo più. Non solo perché è passato tanto tempo, ma anche perché allora gli insegnati ci chiamavano per cognome, e così la cosa veniva spontanea anche a noi alunni. L’eccezione alla regola erano quei pochi ragazzi che si fregiavano di un soprannome, che doveva comunque essere il più possibile offensivo, per dimostrare che chi ce l’aveva era veramente una persona speciale.

Marzullo, non aveva un soprannome, anche se era fuori dubbio un ragazzo veramente speciale. Neanche quello di “Grullo”, che gli sarebbe andato a pennello.

 

Marzullo era l’ultimo della classe. A debita distanza dal penultimo.

 

Alto, magrissimo, con un naso non aquilino, ma decisamente prominente, sedeva all’ultimo banco, come di prammatica per i somari della classe.

Marzullo leggeva a stento, e scriveva altrettanto a stento, con vistosi errori di grammatica.

Insomma, nonostante che frequentasse la Prima Media, Marzullo era praticamente quasi analfabeta, e non era chiaro come avesse fatto a superare gli esami di Quinta Elementare, e come fosse finito in una Prima Media dove già si studiava il Latino.

 

Marzullo parlava poco, e quel poco che diceva erano spesso e volentieri fesserie. Non semplici fesserie, ma fesserie tanto grossolane, da far restare spesso a bocca aperta pure chi alle sue fesserie c’era ormai abituato.

 

Ma, nonostante tutto questo, nessuno di noi prendeva in giro Marzullo. Anzi, direi che Marzullo era uno dei compagni meglio accettati della classe. Nessuno di noi, infatti, si faceva un problema che Marzullo fosse un semi-ritardato, perché aveva in abbondanza quelle qualità che fanno il buon compagno di classe: era sempre disposto a dividere generosamente con gli altri le sue caramelle, sempre disponibile a partecipare al salto alla cavallina, che giocavamo prima dell’inizio delle lezioni. Aveva sempre un eterno sorriso sulle labbra, e non se la pigliava mai con nessuno.

Non è escluso che, se lo avessimo preso in giro per la sua cretineria, non avrebbe nemmeno capito il punto, e ci avrebbe restituito quel suo eterno sorriso.  E che gusto c’è prendere in giro qualcuno che non se la prende mai a male?

 

Naturalmente, alla fine dell’anno Marzullo fu bocciato. Nessuno si aspettava altrimenti. Ma a differenza di quello che succedeva di solito, Marzullo non ripetette l’anno. Marzullo sparì semplicemente dalla circolazione. Siccome abitava in una frazione fuori mano, nessuno dei compagni rimase in contatto con lui. Si presume che fosse andato a frequentare qualche scuola professionale, per imparare qualche mestiere più adatto alle sue limitatissime capacità cognitive.

 

Passarono due anni. Stavo in terrazza, gingillandomi con la carcassa di una vecchia radio a valvole, di quelle che già all’inizio degli anni sessanta non si usavano più.

 

L’interno del “cadavere”, valvole termoioniche a parte, conteneva alcune decine bottoncini e di piccoli cilindri dipinti con cerchietti multicolori, di cui ignoravo le funzioni.

 

 

Erano molto simili a quelle piccole caramelle che compravamo per poche lire al chiosco davanti alla scuola.

 

 

 

 

Quello che invece interessava a me, era la potente calamita dell’altoparlante, l’unico componente che mi sarebbe stato utile per giocare.

 

 

 

Proprio mentre mi stavo arrabattando, senza successo, con un vecchio cacciavite spuntato, mi sentii chiamare dalla strada.

Mi affacciai al balcone e vidi il “solito vecchio” Marzullo.

Ovviamente lo invitai a salire.

 

Dopo i soliti convenevoli, venni a sapere che Marzullo frequentava un corso professionale, dove stava imparando a fare l’elettricista.

 

Vedendomi alle prese con la vecchia radio, mi chiese che cosa stessi facendo. Alla mia risposta che mi stavo cimentando nella sisifica impresa di estrarre l’altoparlante per la calamita, Marzullo tirò fuori dalla borsa che portava con sé, una pinza e cacciavite nuovi di zecca, si avvicinò alla radio e, dopo pochi secondi, mi porse l’agognata calamita che stavo tentando di estrarre, senza successo, da una mezz’oretta buona.

 

Improvvisamente gli occhi di Marzullo s’illuminarono, mentre il suo sguardo si fissava intensamente su quelle “caramelle” saldate tra le budella della radio.

 

“Di’ un po’ – mi chiese – cosa ci fai con la radio, dopo?”
“La butto via - gli risposi – cosa ci devo fare?”

 

“Ma sei matt…, ma sei proprio sicuro che non ti serve più?”

“ ???”

 

“Non potresti, per caso regalarmi… - Disse Marzullo con cautela, come se paventasse  di ricevere un rifiuto - … queste…”, indicando le “caramelle”.

 

“Non fare complimenti – gli risposi – prendi pure tutto quello che vuoi”.

 

“Grazie, grazie!” quasi balbettò Marzullo e, estratte dalla borsa un paio di minuscole tronchesi, si mise a separare con estrema cautela dalle budella della radio tutte quelle “caramelle”, poggiandole, poi, con religiosa delicatezza sul tavolino accanto alla radio.

 

Rimasi ad osservare la strana operazione, che prese diversi minuti. Marzullo, ogni volta che estraeva una “caramella”, la osservava attentamente, avvicinandola agli occhi, stretta nella pinzetta, proprio come fanno i dentisti con i molari appena estratti. Poi la aggiungeva soddisfatto al mucchietto.

 

Alla fine del tran-tran, Marzullo finalmente mi spiegò:

 

“Sono mesi che sto cercando di rimediare questi condensatori e queste resistenze. Oggi non si trovano più in vendita…”

 

E qui Marzullo continuò d’un fiato il più lungo discorso che gli avessi mai sentito dire. A scuola lo avevo sentito pronunciare al massimo qualche breve frase, per lo più sconnessa e sgrammaticata.

 

“Vedi questi cerchietti? – continuò Marzullo mostrandomi una delle “caramelle” – è una resistenza di … Mega-Ohm, con tolleranza del 10%.  Proprio quella che mi mancava per il mio progetto. E anche questo condensatore (un “bottone” giallo) è una rarità!
Ho “rimediato” il tubo catodico di un vecchio televisore, e ci voglio costruire un Radar antiaereo, alimentato dalla corrente d’induzione proveniente dalla linea di Alta Tensione che passa accanto a casa mia. Non so come ringraziarti. Sei un vero amico!”.

 

Dire che io avessi compreso la metà dei termini tecnici sparati a raffica da Marzullo, è farmi un complimento.

Gli risposi con un sorriso da semi-deficiente. Era l’unica cosa che potessi fare.

 

Ma le incomprensibili parole del “discorso di Marzullo”, chissà come, mi restarono impresse nella mente.

 

Solo alcuni anni più tardi, quando appresi i primi rudimenti di Fisica all’Università, mi resi conto che, mentre io avevo passato i miei anni di Liceo a leggere Omero, Cesare e Cicerone, e ad immagazzinare montagne di nozioni inutili sulle Glorie del Passato, nozioni che mi sarebbero servite più tardi nella vita solo per risolvere le Parole Crociate, Marzullo viveva già da un pezzo nel Futuro, ed era sulla via di diventare un Perito Elettronico ante litteram.

 

Sono passati cinquant’anni, ma da allora non mi sono più scordato la Lezione di Marzullo.

Tutte le volte che mi imbatto in una persona che parla a stento e che sembra un  deficiente, non faccio mai come fanno, purtroppo, molte persone di mia conoscenza.
Non lo derido, né mi comporto da Snob o da saputone, perché so che dietro quella maschera da ritardato potrebbe nascondersi un altro Marzullo.