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GLI EROI RISORGIMENTALI DI FAMIGLIA

(sempre che eroi lo siano stati veramente…)

 

Mio trisnonno, Garibaldino…depennato

(e il mio bisnonno… record Guinness degli emancipati)

 

 

 

Le origini dei "Pace"

 

Mio padre era un appassionato di Storia, della storia della sua famiglia in particolare. Alla sua morte sono venuto in possesso di alcuni fogli scritti di suo pugno, nei quali ha scarabocchiato con abbondanza di particolari l'albero genealogico della famiglia Pace, la famiglia di Ebrei Romani alla quale appartengo.  Avendo perso tutti i familiari durante le persecuzioni razziali, mio padre si dedicò, dopo essere andato in pensione, a una ricerca sistematica dei suoi antenati di parte Pace, rovistando anche nell'Archivio di Stato. I risultati della sua ricerca lo hanno fatto risalire fino al 1720, anno in cui il primo antenato dei Pace, di cui si abbia testimonianza scritta, possedeva una casa nel ghetto di Roma. Mio padre non poté andare più indietro, forse perché i vari contratti, certificati di nascita, matrimonio e morte dei membri della famiglia Pace erano stati redatti in ebraico, lingua che lui non conosceva. O forse perché erano ormai andati persi, e non gli fu possibile ritrovarli nei cataloghi degli archivi. Dai dati che riuscì a trovare, mio padre arrivò alla conclusione che la famiglia di Ebrei Romani Pace risiede nella capitale almeno dal XVII secolo, se non da prima. Molte famiglie di Ebrei Romani possono vantare antichissime origini. A parte gli Anàv, arrivati a Roma addirittura nel 70 d.C., portati come ostaggi dall'imperatore Tito, e da allora residenti nella Città Eterna senza soluzione di continuità, molte famiglie di Ebrei romani portano il nome di cittadine e di paesini dello Stato Pontificio: Di Veroli, Di Cori, Senigallia, Ancona, ecc. (anche Di Capua, perché la città di Capua, pur essendo vicina a Napoli, per molto tempo fece parte dello Stato Pontificio). La ragione per cui i cognomi toponimi sono così diffusi tra gli Ebrei, e in particolare tra gli Ebrei Romani è presto detta: i cognomi sono entrati in uso comune verso la fine del medioevo/inizio del Rinascimento, periodo in cui in Italia molti Ebrei furono espulsi dalle grandi città, e furono relegati nei paesini limitrofi. Alla fine del XVI secolo in Italia furono istituiti i ghetti, di cui due soli nello Stato Pontificio, quello di Roma e quello di Ancona. Circa nello stesso periodo sparirono le comunità ebraiche dell'Italia Meridionale, giacché il Regno delle due Sicilie era passato sotto la dominazione Spagnola. Al tempo dell'istituzione dei ghetti, circa la metà delle famiglie ebraiche romane, quasi tutte con cognomi toponimi, erano "Italiane", mentre un'altra metà erano "Sefardite", cioè erano arrivate in Italia solo un secolo scarso prima, con la cacciata dalla Spagna. Gli "Askenaziti"; cioè Quelli di origine Mittel-europea erano un'esigua minoranza.

 

Pace non è un cognome toponimo. È un cognome ancora molto diffuso nell'Italia Meridionale, specie in Puglia e in Basilicata. Roma è piena zeppa di Pace, ma di famiglie ebree con questo cognome, che io ne sappia, ce ne sono solo due. Una è quella mia, sulla quale mio padre ha fatto meticolose ricerche. L'altra, proprio stando alle stesse ricerche, non ha antenati in comune almeno per le passate sei-sette generazioni, quindi sembra trattarsi di una famiglia di omonimi, senza antenati in comune. L'origine del cognome rimane un mistero, anche se probabilmente nacque come nome proprio: alla fine del Medioevo il nome proprio Pace era abbastanza diffuso, basti pensare a Pace da Fabriano, fondatore delle famose cartiere, che nel 1340 portò la sua arte a Padova. Non mi risulta che Pace da Fabriano fosse ebreo, quindi escludo che possa essere stato un mio antenato, anche se questo spiegherebbe la grafomania ereditaria dei Pace, che nel mio caso è una tara ereditaria decisamente peggiorata dal fatto che io porto i geni "cartacei" Anche da parte di madre (vedi il pezzo "La Tribù").

Più probabilmente il cognome Pace proviene da quello italianizzato di qualche Scialòm, arrivato a Roma dall'Est (Grecia/Medio Oriente) tra la fine del Medio evo e il XVII secolo. La forte presenza di questo cognome in Puglia, fa pensare che i primi Pace s'insediarono sulle sponde dell'Adriatico, prima di stabilirsi stabilmente a Roma.

 

La meticolosità della ricerca fatta da mio padre sugli antenati è stata aiutata dal fatto che, come in molte altre famiglie, i nomi propri erano ricorrenti. Tra i Pace, i nomi ebraici Mosè e Simone erano tramandati di nonno in nipote, insieme, stranamente, al nome Anselmo, di origine teutonica. Questa tradizione è stata conservata fino alla metà del XIX secolo, quando, con l'emancipazione, diventarono di moda nuovi nomi propri. Nella mia famiglia, comunque questa tradizione di chiamare almeno il primogenito maschio con il nome del nonno, si è conservata ancora per un po': mio padre, per esempio, pur portando il romanissimo nome Mario, aveva come secondo nome quello del nonno paterno Mosè e come terzo nome quello del nonno materno Sabato, che, all'epoca della nascita di mio padre era ancora in vita. Non escludo, poi che il primo nome Mario sia stato quello "al maschile" della nonna paterna Maria Piazza.

 

 

I "Piazza"

Ricerche posteriori hanno dimostrato che le supposizioni fatte nella storia successiva sono completamente sbagliate. Sabato Piazza, infatti, non nacque 1847, ma nel 1849; suo padre non si chiamava Alessandro ma Giuseppe. Sabato non era imparentato con Maria Piazza.

 

Il racconto è quindi solo una storia immaginaria, che non ha niente a che vedere con la realtà.

 

Per ragioni a me ignote, mio padre non si dedicò con altrettanto zelo a redigere un albero genealogico particolareggiato della sua famiglia da parte di madre, la famiglia Piazza. E sì che ne avrebbe avuta la possibilità, grazie all'abbondanza di… zie alle quali avrebbe potuto chiedere informazioni dirette. Mio nonno paterno aveva quattro sorelle, delle quali una morì in giovane età, ma le altre tre sopravvissero alla seconda guerra mondiale, tanto è vero che io stesso le conobbi, da bambino. Mia nonna paterna era, dal canto suo, la terzogenita di cinque fratelli, di cui il primo e l'ultimo maschi, e le altre due, femmine. Anche questi zii sopravvissero tutti alla guerra, ed ho fatto a tempo a conoscerli personalmente.

Comunque, quello che ha scritto mio padre circa la famiglia Piazza è poco: Il nonno materno si chiamava, come detto, Sabato, meglio conosciuto come Sabatino. Aveva almeno un fratello, ma anche un paio di sorelle (su questo punto ritornerò tra qualche riga) e forse altri fratelli e sorelle di cui si è persa traccia. Sabato Piazza nacque ad Ancona nel 1847, e sposò una certa Emma Seppilli, di Trieste, ma forse originaria anche lei di Ancona. Va tenuto presente che, all'epoca, Ancona faceva parte dello Stato Pontificio e Trieste dell'Impero Austro-Ungarico, nel quale gli Ebrei erano già stati emancipati. Dagli scritti lasciati da mio padre non è chiaro quando Sabato Piazza si sia trasferito a Roma, ma il primogenito Alessandro nacque nella capitale nel 1884, ed è quindi probabile che Sabato Piazza si sia trasferito a Roma in gioventù, o, meglio… ci sia ritornato in gioventù, visto che la famiglia Piazza potrebbe essere stata originalmente proprio una famiglia romana.

Anche Piazza è un cognome molto comune, ma anche qui i Piazza ebrei non sono molti. È piuttosto probabile che il nome derivi proprio dalla parola usata dagli ebrei romani per indicare quella meglio conosciuta come "Piazza Giudìa", il centro del ghetto romano, distrutta dal piano regolatore dopo il 1870, e diventata… Via Portico d'Ottavia. Ma, per gli Ebrei romani, rimasta fino ad oggi semplicemente "Piazza", senza l'articolo. E probabilmente alcune delle famiglie che vi risiedevano da secoli, quando si cominciarono a usare i cognomi, furono chiamate, appunto, Piazza.

 

Il fatto che la nonna paterna di mio padre si chiamasse da ragazza Maria Piazza, può non essere una coincidenza. Mi pare di ricordare, infatti, che i genitori di mio padre fossero lontani parenti, se non addirittura primi cugini. In quest’ultimo caso, allora la nonna paterna di mio padre, Maria Piazza, nata a Roma nel 1854, sarebbe stata addirittura la sorella minore di Sabato, e questo rafforzerebbe l'origine romana della famiglia.

 

L'albero genealogico dei Piazza non va più indietro nel tempo. Non si sa come si chiamasse la madre di Sabato, ma il padre si chiamava Alessandro, e Sabato chiamò il suo primo figlio in nome del nonno: Alessandro Piazza, forse nato a Roma ma vivente ad Ancona. Considerando che, all'epoca, gli uomini non si sposavano e mettevano al mondo figli prima di essersi "sistemati", non sbaglieremo di molto nell'ipotizzare che alla nascita di Sabato, Alessandro Piazza (I) avesse tra i trenta e i quarant'anni, e che quindi fosse nato nel secondo decennio dell’'800, diciamo, tra il 1807 ed il 1820. Per dirla in una parola, fu un coetaneo di… Garibaldi o, se un po' più giovane, dei… Garibaldini…

 

 

Il Garibaldino mancante.

 

Tutti conoscono la famosa storiella, secondo la quale Giuseppe Garibaldi, alla partenza da Quarto, chiese a Nino Bixio: "In quanti siamo?". Alla risposta: "In Mille", Garibaldi esclamò: "Peccato, se ce ne fossero stati altri cento, saremmo partiti in… 1100 !"…

 

garibaldiL'anacronistica storiella (chi si ricorda più della "1100"?), oltre ad avere la barba più lunga di quella dell'Eroe dei due Mondi, è anche sbagliata in partenza, perché da Quarto partirono in…1162. 1161 uomini ed una donna, la moglie di Francesco Crispi, che evidentemente non si fidava di far partire da solo il futuro premier (forse aveva letto nel Decamerone la storia della Bella Ciciliana).

La Storia ci dice che una compagnia di "Camicie Rosse" scese a Talamone, con l'intenzione di fomentare una rivolta in Umbria (Il fine ultimo di Garibaldi era, notoriamente, quello di prendere Roma), ma, sfumata la possibilità, alcuni dei mille non fecero ritorno alle navi in attesa, cosicché a Marsala sbarcarono solo in 1089.

Bisogna dire, però, che anche questa cifra è sicura solo fino ad un certo punto. Diciamo che questa è la cifra pubblicata nel 1878 sulla Gazzetta Ufficiale, per stabilire chi fosse veramente sbarcato a Marsala.  La lista fu compilata da una commissione apposita, per concedere una pensione ai veri reduci dell'impresa (o ai loro eredi se questi erano caduti in battaglia, o deceduti posteriormente). La lista ufficiale contiene, oltre ai nomi dei 1089 Garibaldini, il nome del padre, la data ed il luogo di nascita, la professione e la città di residenza al momento della compilazione della lista.

La lista ufficiale si basa principalmente su quella di 1090 persone, fornita dallo stesso Garibaldi nel 1864, e pubblicata nel Giornale Militare. La lista originale era accompagnata da foto "formato tessera" della maggior parte dei Garibaldini. Sembra che ogni Garibaldino avesse un "tesserino" di identità, anche se non risulta che il tesserino fosse accompagnato da fotografia: le foto-tessera esistevano da poche decine d'anni, ma quelle dei Garibaldini furono create a posteriori dal fotografo Alessandro Pavia, di Genova, il quale "corse dietro" agli ex Garibaldini in tutta Italia per 4 anni, per consegnare alla fine le fotografie a Garibaldi stesso, che le accettò e le fece pubblicare in un album dallo stesso Pavia.

Apparentemente, la lista del 1864 contiene un Garibaldino in più rispetto a quella del 1878. Che fine ha fatto il "Garibaldino mancante" ?

 

Magari le cose fossero così semplici… comparando le due liste, ci si accorge che diverse persone che appaiono in una, non appaiono nell'altra, e viceversa. L'identità numerica è solo casuale. Ma c'è da dire anche che l'album di fotografie, recentemente ripubblicato, contiene una quarantina di foto che, apparentemente, non hanno niente a che fare con i Mille. Oltre a quasi tutti i 1089 Mille sbarcati a Marsala, ci sono altri due gruppi di foto. La prima lista contiene una dozzina di persone che a detta dello stesso Garibaldi "sono degne di stare accanto ai Mille". Questa piccola lista aggiuntiva si apre, significativamente, con Anita Garibaldi, notoriamente deceduta nel 1849, nelle Paludi di Comacchio, durante la fuga di Garibaldi da Roma, seguita alla caduta della Repubblica Romana.

 

Ma, oltre alla lista dei Mille e dei "degni", Garibaldi accettò le fotografie di una trentina di persone, senza dare apparentemente nessun’altra spiegazione di sorta. In questa lista appare un non meglio identificato Alessandro Piazza di Roma. Niente patronimico, niente data di nascita, niente professione, come per quasi tutti gli altri…

 

"Alessandro Piazza, chi era costui?", come avrebbe detto… il Manzoni…

 

Ammesso (e non concesso) che l'Alessandro Piazza della "lista in più" fosse proprio il mio trisnonno, che sembra essere stato coetaneo dell'Eroe dei due Mondi, presumendo che Giuseppe Garibaldi lo conosceva bene, giacché accettò il suo inserimento nell'album delle fotografie dei Mille, e tenendo conto, infine, che di romani, tra i Mille ce ne furono proprio pochini, posso proporre un'ipotesi romanzata che, naturalmente non potrò mai corroborare con prove concrete.

 

Alessandro Piazza, ebreo romano, con contatti anconetani, potrebbe essere stato uno degli uomini di Ciceruacchio.

 

Lasciata al sicuro la moglie con il piccolo Sabatino, di appena due anni, ad Ancona, avrebbe aiutato Garibaldi a fuggire da Roma, dopo la caduta della Repubblica Romana. Per strada, mentre Garibaldi prendeva la Val di Chiana, Alessandro trovò rifugio temporaneamente nel ghetto di Ancona, per poi tornarsene a Roma, dove nel 1857 sarebbe nata una figlia minore, Maria Piazza, la nonna paterna di mio padre. Nel 1864 Garibaldi non avrebbe potuto menzionare Alessandro Piazza con troppa evidenza tra i "Degni di stare accanto ai Mille", perché Alessandro Piazza e la sua famiglia risiedevano a Roma, che faceva ancora parte dello Stato Pontificio. Naturalmente Alessandro Piazza non fece parte dei Mille di Marsala, ma, se l'Eroe dei due Mondi lo fece mettere tra le foto dei Mille, qualche buona ragione ci sarà stata…

 

La più probabile, a mio avviso, è che Garibaldi lo voleva ringraziare in qualche modo, anche se non poteva farlo esplicitamente….

 

 

Il Patriota… Poeta.

 

All'inizio di questa storia ho menzionato che il nonno paterno di mio padre si chiamava Mosè, anzi Moisè Pace.

Questo mio antenato è senza dubbio il più interessante tra quelli sui quali mio nonnomosepadre ha fatto ricerche storiche.

Moisè Pace nacque nel 1837, e morì nel 1889 all'età di 52 anni. Le date precise sono segnate sulla lapide di quella che è oggi la tomba di famiglia, nel settore ebraico del Verano. La tomba di mio bisnonno fu trasferita lì dal vecchio cimitero ebraico dell'Aventino (oggi il Roseto di Roma) nel 1934. A quanto pare questa tomba fu una delle ultime costruite all'Aventino, ed è probabile che fosse anche tra quelle in migliori condizioni (se si può usare questo termine, parlando di tombe!), tanto è vero che ancora oggi, se pur slavata dal tempo, troneggia accanto ad altri sepolcri monumentali del cimitero ebraico del Verano: sopra la lapide troneggia una colonna spezzata (morte prematura) con in cima una fiamma (capofamiglia) di marmo, e sulla lapide stessa sono ancora leggibili il nome di mio bisnonno, le date e la scritta, voluta da lui: "Amò la poesia come una sorella". Niente riferimenti o… saluti ad altri parenti. Nemmeno alla moglie Maria Piazza, che, deceduta nel 1939, non riposa insieme al marito, perché volle essere sepolta accanto alla figlia Emilia, morta in gioventù.

Maria Piazza, in effetti, fu la seconda moglie di Moisè. La prima, una certa Debora Di Nola, dopo avergli dato due figli maschi, era morta di parto, insieme al terzogenito, attorno al 1870. Circa cinque anni dopo Moisè si risposò, con Maria Piazza, di 16 anni più giovane di lui. Come leggeremo tra poco, mio bisnonno fu un tipo sognatore, poco portato per gli affari, ma deve essere stato almeno un bel fusto, considerando che la mia trisnonna, in circa 15 anni di matrimonio (ricorda un po' Adelina Sbaratti di "Ieri, Oggi, Domani"), ebbe la bellezza di 10 gravidanze!  Le prime cinque, tutti maschi, finirono male. Pare che i neonati morissero poco dopo la nascita, come conseguenza della circoncisione. Non mi risulta che in famiglia ci sia il gene dell'emofilia, quindi penso che la causa vada ricercata in qualche forma di infezione. Poi nacquero altri cinque figli, a distanza di un paio d'anni l'uno dall'altro: prima tre femmine (la terza, di salute cagionevole, morì ventenne), poi finalmente, nel 1885, nacque mio nonno Gino, al quale fu posto come secondo nome Eugenio (nato bene). Non ci vuole molta fantasia per capire il perché di questo nome. L'ultima della serie fu ancora una femmina, Lidia. Un sesto figlio non ci fu, perché due anni più tardi Moisè morì prematuramente, lasciando la vedova con sette figli, di cui cinque ancora piccoli, da allevare. Mio bisnonno, a quanto pare, era un benestante, perché da un bilancio del 1887, scritto di suo pugno, risulta che fosse il proprietario di un paio di palazzi (uno di cinque piani) ubicati nel ghetto, in via Rua. Affittava una dozzina di appartamenti a famiglie di Ebrei, anche se sembra che parecchi di loro fossero morosi, al punto che nello stesso bilancio c'è una nota in cui lui scrive che accetterebbe volentieri un lavoro ben retribuito. Presumibilmente queste proprietà erano state acquistate dal padre Anselmo, a metà del secolo. Sembra che il capitale della famiglia sfumasse con lo smantellamento dei palazzi di via Rua, negli anni '80 del XIX secolo, perché i Pace, per mantenersi, dovettero lavorare. Chi si diede da fare fu specialmente Anselmo, il primogenito di primo letto di Moisè, che, non mise su famiglia, e rimase scapolo. Poté così "sistemare" tre sorellastre ed un fratellastro. Anselmo, prima di mettersi in proprio, andò a lavorare per un certo tempo con Sabato Piazza (ziastro acquisito?). Una delle figlie di quest'ultimo, Fernanda, si sposò poi con il "fratellino minore" Gino: Da questo matrimonio nacquero… mio padre e mio zio Sergio, morto anche lui ad Auschwitz. Per questo, pur essendo io il primogenito maschio, non porto né il nome di Anselmo, né quello di Simone (la tradizione di famiglia, comunque si è conservata, perché mio fratello li porta tutti e due), ma quelli in memoria di mio nonno Gino e di mio zio Sergio.

ciociara

L'ipotesi (un po' tirata, a dire il vero) che Maria e Sabato Piazza fossero fratelli, è ancora più allettante, considerando che i loro genitori (in base alle note di mio padre) sarebbero stati Alessandro Piazza (padre di Sabato - di moglie ignota) e Rachele Esdra (madre di Maria – di marito ignoto). In famiglia esiste un grande quadro ad olio, rappresentante la sorella di Rachele, in costume da Ciociara. Alle sue spalle c'è un uomo, forse aggiunto al quadro in un secondo tempo. Pare che il quadro rappresenti una coppia di sposi, ma la sorella di Rachele potrebbe essere stata dipinta prima del matrimonio. Quello che è interessante, comunque, è che il quadro è in effetti un manifesto politico: il costume tipico della Ciociaria ha, infatti, i colori bianco, rosso e verde. Insomma, pare che anche gli antenati di quel ramo della famiglia fossero dei patrioti, e che lo espressero nella maniera "artistica" consentita, per non correre rischi con le Autorità dello Stato Pontificio…

 

Ritorniamo a Moisè Pace, che – lo disse lui - "Amò la poesia come una sorella", ma poeta certamente non fu: quando avevo circa dieci anni, mio padre ebbe l'occasione di avere tra le mani un opuscolo di poesie di Moisè, conservato da un cugino. Mi ricordo l'esclamazione di mio padre (che ebbe anche lui una discreta capacità di scrivere in versi) nel leggere le poesie: "Ma sono veramente brutte!!!". Pare che si trattasse di versi patriottici e manieristici, probabilmente scritti come si usava all'epoca. Se, dunque, mio bisnonno amò la poesia come una sorella, al punto di farselo… scrivere sulla tomba, pare che la sorella (al contrario di quanto fece scrivere lui sulla lapide) … non ricambiasse l'amore!

Un'altra testimonianza della grafomania poetica di mio bisnonno è un opuscolo che trovai rovistando le carte di mio padre, subito dopo la sua morte, mentre ero alla ricerca di un importante documento. L'opuscolo in questione conteneva altri versi di un ignoto conoscente, ed era dedicato a mio bisnonno. Pochi giorni dopo, del tutto casualmente, incontrai un industriale italiano, per ragioni di lavoro. Dal cognome, risultò che l'industriale era un discendente del verseggiatore dell'opuscolo. Ritenni opportuno regalarglielo: a casa mia sarebbe presto finito nella spazzatura, mentre per l'industriale era un inedito cimelio di famiglia.

Incidentalmente, l'importante documento che stavo cercando tra le carte di mio padre, e che per fortuna trovai veramente, era un certificato dell'Esercito Italiano che esonerava mio nonno "Gino Eugenio, fu Moisè" dal servizio militare per ragioni di salute. Siccome i genitori ed il fratello di mio padre erano stati deportati ad Auschwitz, l'ultima persona ad essere stata sepolta nella tomba di famiglia era uno dei due figli di primo letto di Moisè, Anselmo, morto nel 1938. Siccome quando morì mio padre, nel 1995, erano passati più di cinquant'anni, per seppellirlo nella tomba di famiglia bisognava dimostrare che fosse un discendente di Moisè. Il certificato ufficiale dell'esercito, intestato a "Gino Eugenio fu Moisè" fornì, appunto, la dimostrazione necessaria, e mio padre poté essere sepolto… nella tomba dei Padri.

 

Ma ritorniamo a Moisè. Le poche testimonianze tangibili di cui ho appena scritto, fanno pensare che Moisè fosse molto attivo in qualche circolo culturale dell'epoca. Forse fu un mini-Mecenate. O almeno credette di esserlo.

Presumo che questa sua tendenza a fare l'intellettuale fosse in parte dovuta al carattere, in parte a discrete possibilità economiche, in parte al particolare contesto storico (in piena Unificazione Italiana) dei suoi anni giovanili.

Moisè aveva quattro sorelle ed un fratello di un paio d'anni più anziano di lui (l'ennesimo Simone della famiglia). Il loro padre (L'ennesimo Anselmo della famiglia), nato nel 1800, a quanto pare fu un capacissimo uomo d'affari, che era riuscito ad accumulare un discreto patrimonio. Gli affari, però, ebbero un duro colpo attorno al 1860, quando Anselmo prestò un'ingentissima somma ad un Principe romano e, nonostante la lunga causa giudiziaria intentata, non riuscì a farsi restituire il denaro, anzi fu accusato di truffa e costretto a pagare una salata ammenda. Mio padre ha trovato e raccolto il noiosissimo incartamento del processo in questione, incartamento che non ho mai letto, né ho intenzione di leggere, ma che trionfa ora sullo scaffale dei cimeli di famiglia in mio possesso. All'epoca della causa, Anselmo aveva circa sessant'anni. Alla causa partecipò anche il figlio maggiore, mentre Moisè stesso non compare, probabilmente perché all'inizio della stessa aveva circa vent'anni, e quindi era ancora minorenne.

Ma posso immaginare che non rimase estraneo a tutta la serie di battaglie legali, dalle quali trapela, se non antisemitismo, l'evidente discriminazione del tribunale pontificio nei confronti degli "Israeliti Anselmo e Simone". Il termine "Israelita", nei documenti ufficiali papalini indicava lo status giuridico di cittadini che non possedevano quei diritti politici, che furono conferiti agli Ebrei romani dieci anni più tardi. All'età di vent'anni, Moisè ebbe modo di legarsi al dito, se ce ne fosse stato bisogno, la discriminazione dello Stato della Chiesa nei confronti degli Ebrei Romani. Non potendo, per ovvi motivi, assumere una posizione attiva, si unì ai circoli intellettuali pro-emancipazione, che si limitavano a scrivere bruttissime poesie in elogio all'Italia. Sulla falsariga, se vogliamo, di quello che aveva fatto Verdi, tremendamente meglio, con le sue opere liriche qualche decennio prima.

 

Proprio nello stesso anno in cui si concludeva il processo per truffa, di evidente sentore discriminatorio nei confronti della famiglia "Israelita", altri mille intellettuali italiani sbarcarono a Marsala, per unificare l'Italia. 

Senonché (come dice Margarita Lonzano ne "L'Altro figlio" del film Kaos dei Fratelli Taviani) "Uscirono quelli boni, ma uscirono pure quelli cattivi…"

 

Nell'ex Regno Borbonico appena unificato all'Italia, l'esercito sabaudo, con effettivi adatti ad uno stato che solo due anni prima era un quinto dell'Italia unificata, non fu in grado di cimentarsi con il fenomeno del brigantaggio (chiamato ufficialmente banditismo). Oggi si pensa che il brigantaggio, fiorente soprattutto nel Sud, ma presente anche nelle maremme, sia stato una sorta di moto popolare, in parte fomentato da nostalgici dei vecchi regimi, in parte da bande di opportunisti che volevano approfittarsi del vuoto creato dalla nuova situazione. Siano le ragioni quelle che siano, il Governo Italiano corse ai ripari con la formazione, nel 1861, di una milizia armata, formata da cittadini locali, che avrebbe dovuto avere il compito di mantenere l'ordine. La milizia fu chiamata con un altisonante nome di reminiscenze napoleoniche: "Guardia Nazionale Italiana".

 

La Guardia Nazionale fu inizialmente un corpo volontario. Successivamente fu fatto l'arruolamento obbligatorio, ma ci si accorse ben presto che essa non era in grado di compiere le funzioni per quali era stata destinata: era formata da gente male armata, peggio addestrata, con concetti di disciplina molto approssimativi. Inoltre mancava assolutamente di comandanti validi a tutti i livelli. Se ciò non bastasse, i capi della Camorra e della Mafia capirono subito il potenziale di avere sotto i loro comandi una milizia "legale" mantenuta a spese del Governo: La Guardia Nazionale finì ben presto col diventare un misto eterogeneo: da una parte era composta di intellettuali che veramente volevano collaborare con il governo dell'Italia Unita per mettere un po' d'ordine, dall'altro da bande formate da Camorristi e Mafiosi ante-litteram.

Diverse persone, della giusta età, diventate famose per altri motivi, fecero parte della Guardia Nazionale. Basta nominarne uno: lo scrittore catanese Giovanni Verga, che vi prestò servizio per quattro anni, finché, convintosi di non avere velleità militari, ottenne di essere congedato.

La Guardia Nazionale ebbe breve vita. Come dice Wikipedia: "Utilizzata durante la Terza Guerra d'Indipendenza (1866) dette pessima prova di sé… i suoi ufficiali… ex borbonici, falsi liberali e briganti in divisa… dopo un tentativo di riorganizzazione… venne sciolta definitivamente nel 1876".

Comunque La Guardia Nazionale esisteva ancora quando, il XX Settembre 1870, i Bersaglieri entrarono a Roma, per la Breccia di Porta Pia.

 

A quel tempo, il mio bisnonno Moisè, Israelita Romano, aveva 33 anni, e forse era da poco rimasto vedovo, con due bambini piccoli da allevare. Ma Moisè era un'intellettuale, con diverse sorelle e cugine che potevano prendersi cura dei due maschietti. L'anziano padre aveva ancora un discreto gruzzolo. Moisè poteva anche offrirsi volontario per aiutare la Nuova Patria.

 

Roma fu annessa ufficialmente all'Italia i primi di Ottobre. Circa venti giorni dopo, un proclama ufficiale sanciva l'Emancipazione degli Ebrei Romani, che finalmente diventarono, dopo 315 anni nel ghetto, Cittadini Italiani uguali a tutti gli altri.

 

Contemporaneamente, a Roma fu istituito un corpo della Guardia Nazionale. Dal momento che Roma fu immediatamente occupata da ingenti forze militari regolari, e che la città non era infestata dal… brigantaggio, è probabile la Guardia Nazionale non avesse le funzioni di vero e proprio corpo di polizia, ma piuttosto che l'aderirvici fosse una… moda degli intellettuali romani (della giusta età) per dimostrare la loro adesione al nuovo governo.

 

viaruaUno dei personaggi romani più conosciuti del periodo, che si arruolò nella Guardia Nazionale, fu il pittore Ettore Roesler Franz, l'autore della serie di acquerelli "Roma Sparita", grazie ai quali possiamo ammirare ancora oggi come era la Città Eterna, prima che il piano regolatore della nuova capitale, ne distruggesse tutti gli angoli più suggestivi. Diversi acquerelli riproducono il vecchio Getto. Uno di essi, riproduce uno scorcio di via Rua, un prete esamina dei tessuti e, dietro di lui c'è una casa con balcone, il numero 12, la casa di proprietà di Moisè Pace.

Anche Moisè Pace si unì alla Guardia Nazionale, anzi ne fu nominato subito ufficiale. La cosa può sembrare un po' strana, considerando che se Roesler Franz, di origine tedesche o svizzere, aveva forse fatto un tirocinio di carattere militare, pare strano che un Israelita avesse posseduto un'istruzione militare. È dubbio se sapesse usare le armi: tutt'al più possedeva un fucile da caccia... né mi risulta che il mio bisnonno Moisè fosse uno dei capi della Comunità ebraica o ricoprisse la funzione di… poliziotto in seno alla stessa…

 

… Eppure, una vecchia pergamena di famiglia testimonia come il 19 Novembre 1870, Moisè Pace sia stato eletto al grado di Sottotenente della Guardia Nazionale.

 

Questa pergamena, rilasciata meno di un mese dopo la pubblicazione del proclama che sanciva ufficialmente l'Emancipazione degli Ebrei Romani, è forse un record Guinness: è la prima testimonianza tangibile dell'Emancipazione degli Ebrei Romani, non a livello generale (proclama) ma a livello personale.

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Non so se il mio bisnonno sia stato veramente un Patriota, né se avesse veramente le qualità per essere eletto ufficiale della Guardia Nazionale, comunque doveva fare veramente una bella figura, in quella divisa da ufficiale (uomo di destra, nella figura), peraltro molto simile – colore azzurro del pennacchio a parte – a quella dei Bersaglieri che lo avevano appena… emancipato…

 

 

Ripeto: non so se il mio bisnonno sia stato veramente un Patriota, né se avesse veramente le qualità per essere eletto ufficiale della Guardia Nazionale, ma una cosa è quasi certa:

 

 

Il mio bisnonno Moisè Pace detiene il primato Guinness degli Ebrei Romani Emancipati.

 

 

 

Per chi non fosse in grado di leggere il testo, la pergamena dice:

 

 

IL SINDACO DELLA CITTá

DI

ROMA

 

Veduto il verbale della votazione

Avvenuta il 19 Novembre 1870

 

DICHIARA

Che il Signor Pace Moisè

Fu eletto al grado di sottotenente nella

20a Compagnia 4° Battaglione 4aLegione

della Guardia Nazionale di questa Città.

 

Roma, dal Campidoglio, li 19 Novembre 1870

 

                                IL SINDACO

 

 

 

 

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