Terzine Romane

 

"Cantami o Diva…" disse un tempo Omero,

"Nel mezzo del cammin"… rispose Dante.

"L'armi canto…" Virgilio scrisse, invero.

 

Di Storie in versi n'han narrate tante,

i grandi vati, a scuola un dì studiati:

un, la guerra di Troia riguardante,

 

un altro, dell'Inferno e dei dannati,

il terzo dell'origini di Roma,

L'Urbe, l'Eterna, dove siamo nati

 

(Che sempre, schiava, le porga la chioma

la Vittoria, e che segni molti golli

- Orsù gridate, o Lupi: "Forza Roma" - ).

 

Roma, adagiata su li Sette Colli,

Roma, del Tevere e del "ponentino",

l'aure che olezzano, tepide e molli

 

tra il Campidoglio, il Celio e l'Aventino,

portando tra le braccia, con amore,

quel canto un po' profano e un po' divino,

 

la melodia ch'è, poi, l'Eco der Core

(La senta pure lei, la mejo fata).

Roma, cantata da più d'un tenore,

 

in sordina, stornello o serenata.

Roma, la patria della "Ciumachella",

che da Virgilio a Villa fu cantata.

 

Ma Roma, la città, per quanto bella,

non è fatta soltano di mattone,

di marmo, strade, e qualche fontanella:

 

Col debito rispetto al "Funtanone",

al Colosseo (purtroppo un po' cadente),

a Ponte Mollo, ai Fori e al Cupolone,

 

la vera Roma è fatta dalla "Gente",

dall' "Ommini de carne e d'ossa – Umani"

'ché Roma non sarebbe proprio gnente

 

se dentro non ci fossero… i Romani.

I poeti, dai tempi delle nonne,

cantando Roma in rime, versi e brani

 

non cantarono mica le colonne,

o i sassi, per passarne la memoria,

ma la gente del posto – ommini e donne,

 

quelli che in fin dei conti, e senza boria

(magari sì, co 'n po' de faccia tosta),

fecero entrare Roma nella Storia.